Il caso della cuffia | di Vincenzo Pierri
Per prima fu una piscina comunale di Gorgonzola, in provincia di Milano, a esporre il cartello: VIETATO ENTRARE IN ACQUA SENZA CUFFIA (ANCHE ALLA BARBA).
Tutto ebbe inizio una domenica di fine giugno. Un cliente, tesserato del circolo, era a bordo piscina per godersi un po’ di sole, all’ombra parziale di un ombrellone smollato. La struttura era affollatissima: bambini urlanti, genitori spazientiti, single e studenti a grappolo. Tutti con la cuffia indossata regolarmente. Tutti, tranne un paio di ragazzi rasati e tre signori calvi. È importante sottolineare, per una questione sociologica più che formale, che esiste una differenza tra calvo e rasato; il calvo è vittima, il rasato è agente. Ma il risultato visivo, ai fini regolamentari, è il medesimo: niente capelli. Il punto vero, però, era un altro. Quei cinque uomini avevano tutti una barba foltissima, lunga, addirittura scenografica. E la barba, si sa, va dove va il mento. Per cui, ogni volta che uno di loro entrava in acqua, la barba si immergeva con lui, fluttuando liberamente e assorbendo tutto il cloro disponibile.
Questo dettaglio mandò in crisi il cliente. Egli era perfettamente rasato in volto, ma aveva ancora dei capelli (invero pochi, ma li aveva), e ogni volta che desiderava immergersi era obbligato a indossare la cuffia, secondo regolamento; mentre quei tipi, pur avendo sul volto qualcosa di almeno equivalente a una parrucca bagnata, non erano soggetti ad alcun obbligo. Si recò allora in direzione. Espose il caso, argomentando con chiarezza: “Chiedo che venga aggiornato il regolamento della piscina, affinché chiunque possegga una barba superiore ai due centimetri sia tenuto a indossare un’apposita protezione. Una cuffia per barba, una mascherina impermeabile, un sacchetto di rete. Qualcosa”.
In direzione, all’inizio, la proposta fu accolta con perplessità. Il tono dell’uomo era troppo serio per sospettare una burla, e troppo accorato per essere del tutto ragionevole. Si convocò allora un incontro del comitato tecnico-sanitario del circolo; vennero consultati i documenti e furono avviate delle ricerche. Dopo quarantotto ore, si giunse alla conclusione che la questione non era affatto infondata: la barba immersa può rilasciare peli, residui di pelle morta, batteri, eppure fino a quel momento nessuno si era preso la briga di normare quella fattispecie. Ci si accordò dunque per l’introduzione del nuovo obbligo. Furono stampati dei cartelli che vennero affissi all’ingresso e vicino alle vasche, accanto a quello sui divieti di tuffo.
Un giornalista, anche lui socio del circolo, li notò li fotografò. Fece alcune domande alla direzione e il giorno seguente Milano Today titolò in prima pagina: IL CIRCOLO INFINITY DICE NO AGLI HIPSTER SENZA CUFFIA ALLA BARBA, seguito dal sommario: Il caso della piscina di Gorgonzola solleva domande scomode: è giusto chiedere l’equiparazione pilifera tra cranio e mento?
La notizia si diffuse con rapidità sorprendente. Alcuni ne risero. Molti protestarono. Altre piscine, temendo contestazioni analoghe, cominciarono a adeguarsi spontaneamente. Nel giro di due settimane, il Paese si divise. Da una parte, gli sbarbati: sostenitori della piena parità igienica. Dall’altra, i barbosi: fautori di una normativa differenziata, basata sulla natura e la funzione del pelo. Fu allora che entrarono in scena le associazioni. Il sodalizio Spaccare il capello in quattro, da sempre attivo nella promozione dell’equità follicolare, pubblicò una nota in cui si chiedeva “parità assoluta fra peluria cranica e peluria facciale, al netto della destinazione d’uso”. A rispondere fu Il pelo nell’uovo, associazione conservatrice e filo-baffista, secondo la quale “i peli della barba, a differenza dei capelli, non producono sebo in quantità significativa, e inoltre sono più facilmente lavabili”.
Nel frattempo, i barbieri cominciarono a offrire “cuffie da barba” in regalo con ogni rasatura completa. Alcuni parrucchieri provarono a ricavare una linea di cuffiette elastiche da apporre al mento, con scarsi risultati. Un produttore di mutande riconvertì un’intera linea di slip per realizzare prototipi.
Infine, il caso approdò in Parlamento, secondo l’italico costume: l’onorevole Mario Impomatato, già relatore per la legge sugli zoccoletti di legno, presentò un’interrogazione urgente alla Commissione Igiene e Costumi, chiedendo che si stabilisse, una volta per tutte, “quando un pelo è solo un pelo, e quando è un affare di Stato”. La questione è tuttora aperta, ma si è raggiunto un compromesso: nelle piscine pubbliche, oggi, si consiglia l’uso della cuffia alla barba, ma non è obbligatoria, se non in caso di immersione completa con movimento della mandibola.
19 luglio 2025 – © riproduzione riservata





