Dal balcone

[di Kathia Giordano]

Le voci degli atleti che si allenavano le tenevano sempre compagnia mentre studiava nella grande cucina inondata di sole. Ogni tanto sollevava il capo dai libri e guardava fuori e la mente cominciava a viaggiare verso un futuro lontano che sperava migliore del presente, lontano dalla noia, dalle liti, dai pettegolezzi di provincia che sempre più la ferivano e che le cucivano addosso un abito troppo stretto. C’era voluto tempo per abituarsi a quel panorama. Fino a qualche anno prima dal balcone vedeva il suo giardino e, oltre il muro di cinta, c’erano grandi montagne che la facevano sentire circondata e protetta.  Con il trasferimento in un paese di mare, dove il caldo umido la faceva da padrone d’estate e l’inverno era mite, tutto era cambiato. Nessun giardino, ma un cortile di cemento dove sbucciarsi le ginocchia e, al posto delle montagne, la ferrovia con i binari color seppia e i treni che interrompevano sogni e pensieri e facevano tremare i vetri al loro passaggio. Poi, distese di campi fertili a perdita d’occhio: un pescheto, un campo di grano, un pascolo verde e, in lontananza, una sottile lama argentea che tutti le dicevano essere il mare. I suoi erano fieri di abitare in centro, ma senza troppi palazzi intorno; a lei, invece, tutto quello spazio incuteva timore e le dava un senso di solitudine e di smarrimento. L’unico antidoto a ciò, era osservare la vita che animava il Dopolavoro ferroviario che si trovava proprio sotto al suo balcone. Il rumore dei palloni da basket e le urla dell’allenatore durante gli allenamenti rimbombavano nel grande capannone di mattoni col tetto di lamiera, sovrastavano quello delle partite di tennis nei campetti all’aperto e le voci dei pensionati che giocavano a carte davanti al piccolo bar col jukebox sempre in funzione, fino a tarda sera.
Gli anni erano passati velocemente e lei era andata a studiare in città. I campi e i pascoli a poco a poco erano scomparsi e anche la striscia di mare era stata quasi del tutto nascosta da tante nuove palazzine. La costruzione di un palazzetto dello sport all’ingresso del paese aveva spento improvvisamente le luci e le voci del dopolavoro. Per alcuni anni d’estate si organizzarono serate danzanti con musiche dal vivo per un pubblico anziano e nostalgico. Poi, più niente. Solo qualche spacciatore o qualche coppietta che, sfidando i topi e le sterpaglie, si davano appuntamento lì, a notte fonda. Lei aveva sempre sperato che quel posto tornasse ai vecchi fasti, e che l’aria risuonasse nuovamente di voci giovani e anziane, di risate e di musica. Quando aveva letto la notizia che avrebbero riqualificato il Dopolavoro con la costruzione di un palazzo, moderno e forse orrendo come tutte le altre del paese, aveva provato un’indicibile tristezza. Un altro pezzo del suo passato che scompariva per sempre, insieme all’ultima striscia di mare che ancora si vedeva dal suo balcone.

13 marzo 2021 – © riproduzione riservata

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