Adelmo non è più | di Lucio Spampinato

Quella mattina alcuni cittadini ricevettero un messaggio sospeso, “Adelmo non è più”, di cui, se non era del tutto inequivocabile il significato, tuttavia, a volerlo invece leggere nell’accezione più negativa dell’eufemismo ontologico, voleva proprio dire che Adelmo era venuto a mancare. I destinatari erano perlopiù nella cerchia dei suoi amici. Partito dal cellulare dell’interessato, il messaggio doveva averlo mandato un parente stretto che si trovava con lui nell’ora estrema, dovettero pensare. La vedova Cetrulo rimase folgorata alla notizia poiché aveva appena chiesto un piccolo prestito all’amico e vedeva così sfumare il sogno del B&B Fiori d’arancio. Vide peraltro vanificate le sue moine nei confronti di Adelmo che blandiva ed anche tentava in continuazione, pur non interessandole affatto come possibile successore al talamo del suo defunto marito. L’impresario di pompe funebri La Rinascita, Genesio Vitale, cominciò a interrogarsi dove si trovasse la salma e quale fosse il modo più delicato di proporre i propri servigi per le esequie. Era pur sempre da una vita il compagno fisso di Adelmo al tavolo di tressette; un modo lo avrebbe trovato. Il poeta Vetrullo, sebbene colpito dalla notizia, continuò a fissare il moto sinuoso del tendaggio del balcone di rimpetto che si agitava e il cui mistero ogni volta rivelato lo mandava in estasi da quand’era ancora un adolescente. Il tumulto del sangue era al colmo della pressione arteriosa, imperversando il Cane in quella stagione. Coniugando i due pensieri formatisi da universi interiori contrapposti, gli venne da esclamare a voce alta: “Eros e thanatos” e corse in strada, e come un folle quasi irruppe nel portone di fronte che era socchiuso, salì le scale alla ricerca dell’enigmatica, bramata urna molle che avrebbe trovato anche stavolta, prima di svenire, in quell’antro mercenario. Il politico Onesto Fidelio, letto il messaggio, restò col cornetto sospeso a mezz’aria, incapace di parlare, precipitare il dolce nel cappuccino, imprecare fra sé, visto che il bar era affollato, oppure piangere. Adelmo gli aveva promesso appoggio elettorale incondizionato per le prossime elezioni comunali, cooptando a suo vantaggio una famiglia sua amica piuttosto numerosa e influente; adesso una fetta del presunto, agognato elettorato gli stava affondando nello stagno del cuore; proprio di fronte al molo della sua smisurata ambizione. Se ne sarebbe tornato alla sezione elettorale a meditare alla scrivania, sotto il gran quadro del Paflagone-smargiasso e Gran Correggione del Nulla, memoria dell’amato nonno e ora tornato di moda. Il casaro Riziero Antemione aveva appena finito la mozzata di un quintale di mozzarelle e, per riposarsi, diede uno sguardo al telefono. Rimase immobile leggendo quel messaggio e gli crebbe pian piano in petto un groppo di nostalgia. Anche lui, senza Adelmo, perdeva qualcosa. L’amico gli aveva promesso di fargli da guida nella visita di Lisbona, perché Adelmo parlava molto bene il lusitano, era invaghito della lingua, del paese, della cultura e della letteratura portoghesi. Ciò che nessuno dei suoi conoscenti comprendeva lo aveva capito grazie ad Adelmo e cioè che solo l’Arte ci può alleviare dalla Vita, anche se essa non può invece alleviare dal Vivere. Ecco perché gli dicevano: “Ma non vi sarete fissati con questa Lisbona? Che si fa a Lisbona, che ci andate a fare?” E già si vedeva, nelle sere di fine estate, prendere il fresco della brezza atlantica seduto con Adelmo alla Brasileira do Chiado, cenando e infine contemplando l’ascesa spirituale della fumea azzurrina di un ammezzato. Ora, tra sé e sé, incolpò il destino di quella perdita e all’apice di una fitta di malinconia disse addio ad Adelmo, al Tago, ai ripidi tram gialli caracollanti, all’Alfama, al fado. In tutto quel mentre, Adelmo, che morto non era, stava litigando col portafogli, le carte di credito, le password, il telefono per cercare di pagare un biglietto del treno. Voleva prendersi una giornata tutta per sé, lontano dal dovere di esserci e dal pensarsi salvatore del mondo. Aveva iniziato a scrivere un messaggio da inviare ad una ristretta schiera di amici e, nella confusione delle attività manuali, gli era partito quel progetto di messaggio. Salì sul treno e, ad un tratto, vide tre persone piangenti, con fazzoletti bianchi ad asciugare le lacrime, che attendevano che il convoglio sull’altro binario si fermasse. Pensò: che strano, piangono per chi arriva e non per chi parte! Gli venne da pensare ad una lettura dei tempi del liceo di un autore classico che evidenziava come il ritorno delle navi in porto passava sotto l’indifferenza di tutti, malgrado i pericoli e le bufere che esse avevano affrontato per tornare sane e salve. Al contrario, tutti accorrevano a salutare le navi in partenza. 

Quella scena dei fazzoletti gli sembrò una metafora della vita, anche se qualcosa non gli quadrava e perciò lasciò perdere. Si era seduto con lo sguardo rivolto nel verso del movimento del treno perché la posizione contraria lo disturbava e, al primo sobbalzo del convoglio, ci fu come una crepa spaziotemporale in cui non comprese dove si trovasse né dove stesse andando. Il treno si era mosso nella direzione inversa a quella del suo viaggio. Aveva sbagliato binario! Non gli restava che continuare a scrivere il suo messaggio. “Adelmo non è più disponibile ad essere sempre presente e pronto a supportarvi!”. 

Avrebbe voluto proseguire con altre sottolineature ma poi fu rapito dal panorama di quel viaggio all’incontrario. Il treno entrò in gallerie, passò da ponti incastonati su spuntoni di roccia. Torrenti seguivano il suo percorso scomparendo nel verde e sbucando più avanti, di soprassalto. La macchia cedeva il passo a foreste di cerri e castagneti del Cilento profondo in cui i pensieri di Adelmo, finalmente liberi, si dispersero.

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