Villa(nia) comunale

[di Ernesto Giacomino]

Leggenda narra che esisterebbe, da qualche parte, personale pubblicamente pagato per presidiare le ville comunali battipagliesi. E pare che qualcuno – poi internato in una qualche struttura per malanni psichici – alle volte lo abbia pure avvistato. Il che, se può essere lontanamente credibile per la “vecchia” villa (quella di via Belvedere, giacché ha un capanno apposito che alle volte è stato pure occupato, anche se questa presenza ectoplasmatica non è mai stata confermata dalla scienza ufficiale), per quella “nuova” di via Domodossola ha un livello di irrealtà degna del miglior film di Spielberg. Ci fossero guardiani, in quella villa, non sarebbe feudo esclusivo di tutt’altro. Andandoci, per dire, in una tarda mattinata di qualunque giorno feriale (sabato incluso, o soprattutto), mettiamo intorno all’una o giù di lì, si scoprirebbe ad esempio che non puoi portare i bambini sulle giostrine. Perché lì, proprio per i bambini, non c’è posto. A quell’ora il grosso delle giostrine è requisito da romantici studenti in uscita da scuola, impegnati a riprodurre le melense sceneggiature dei romanzoni di Moccia, lasciandosi pericolosamente dondolare su altalene che a stento reggono il peso medio di uno scolaro delle elementari. Oppure, eccoli là, pronti con questo vizio di disegnare a pennarello i cuoricini e le date storiche sulla plastica delle casette, ignari che se quell’inchiostro è tossico potrebbero avvelenare un bambino. C’è quello più idiota, poi, l’esibizionista di turno, che si butta a capofitto dallo scivolo per fare lo splendido con le ragazzine, fregandosene di fare il duplice danno di ammaccare il gioco e dare un cattivissimo esempio ai più piccoli. E poi – ovviamente immancabili – loro: gli imbecilli col pallone, quelli che con due campetti liberi a disposizione scelgono di giocare proprio lì, sul terriccio del parco giochi, uno spazio talmente angusto che anche se volessi farci un girotondo con tre elementi dovresti organizzarlo a turni.

L’occupazione globale dell’area dei piccoli, in realtà, è solo una minima parte della quotidiana espropriazione studentesca. La delegazione dei regrediti a livello infanzia è l’avamposto di un più ampio esercito che da sempre, in quella villa, usa e abusa di tutto ignorando qualunque regola di convivenza civica e di rispetto del decoro urbano. Per cui, a fronte dei sei o sette nostalgici del biberon che devastano qualche chiletto di plastica instabile, c’è una marea fagocitante di loro colleghi che va appartandosi a insozzare altrove: bottiglie vuote di birra sui muretti, cartacce di pizzette e panini un po’ ovunque. Quelli più innocui, per dire, si raggruppano in capannelli rumorosi – e irriguardosi di chiunque, anche degli anziani che lì vi si recano esclusivamente per trovare tranquillità – i cui schiamazzi farebbero rabbrividire gli inquilini della celeberrima Animal House.

Ovviamente ci si indigna, con questi qua, ci si prova a ragionare. Il più delle volte sono sberleffi e finte scuse; ma succede – anche se raramente – che ci scappino minacce e diverbi verbali. E allora per l’ennesima volta ti chiedi perché devi sempre litigare per far valere un tuo diritto. Forse è per questo, magari, che la legge prevede figure apposite per sovraintendere alle aree pubbliche.

Ma qui, al solito, ti guardi intorno e non c’è niente. Eppure qualcuno continua a giurare che questi custodi esistono davvero: è solo che, come in ogni mistero che si rispetti, scelgono il sacrificante privilegio di restare una leggenda.

27 settembre 2012 – © riproduzione riservata

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