Quando frinisce un amore

[di Ernesto Giacomino]

Comprensibile che – nel bailamme di bombe & tombe che hanno interessato quest’ultimo scorcio d’estate – sia passato sostanzialmente inosservato: ma s’è trattato comunque d’un fenomeno fauno-climatico alquanto bizzarro. L’ennesimo segno della nuova e misteriosa destinazione imboccata da quest’ecosistema sempre più surreale che ci ostiniamo a manovrare. O magari un messaggio di stampo biblico, chissà: mancavano tempo e voglia d’apparecchiare ondate di cavallette come ai bei tempi, s’è provato a sfangarla uguale con pochi altri insetti ma sufficientemente rumorosi.

L’invasione di grilli in città, voglio dire. Che poi no, magari “invasione” è una parola azzardata: il bello di questi animaletti qua è che ne basta uno per fare un fracasso stile elefante in vetreria, hanno questo verso d’una frequenza così unica da rimbalzare su qualunque superficie e moltiplicarsi in miriadi di origini diverse. Non lo sai mai, ascoltandolo, se un grillo ce l’hai alle spalle, o davanti, o in transito su un Boeing a seimila metri dalla testa. Né, in realtà, se è solo o si diletta in compagnia, giacché teoricamente ne basterebbe già uno a rione per assordare l’intera città.

Come dire: tra settembre e questa prima metà d’ottobre non s’è dormito più di tanto, dalle mie parti. Né in parecchie altre zone cittadine, da quanto ho ipotizzato ascoltandone nottetempo il canto mentre rincasavo. Nel tratto tra via Buozzi e piazza San Francesco, per dire; ma anche alle spalle di piazza Amendola, in zona ferrovia, in via Serroni. Aree urbane che di campestre non hanno nulla, e che però a questi insetti – così, di botto – sono comunque apparse come ottimi palchi per esibirsi. Almeno nelle intenzioni iniziali, chiaramente: perché dopo esserci capitati ci sono, sì, rimasti, ma non per scelta. I grilli hanno questo vizio sfizioso di saltare, ma il difetto di non sapere dove atterreranno: per cui quella visita in città che doveva essere solo una gita veloce poi è divenuta prigionia, per essere più o meno tutti – salta che ti risalta – finiti in caditoie, tombini, griglie di scolo. Ed ecco il perché della permanenza del canto, ogni notte, per tutta la notte, in ognuna delle zone in cui sono rimasti intrappolati. Poi chissà, magari ora il fenomeno è scemato, ci avrà messo una pezza il letargo, vedremo che succederà la prossima primavera.

Il fatto inquietante, però, resta: confiniamo con colline e campagna da sempre, mai c’era stato un esodo così evidente di questi insetti. Se volontario, quindi, andrebbe capito quale disperazione possa esserci, in quest’era di sconvolgimenti ambientali, dietro l’istinto di lasciare vitto e alloggio garantiti dal proprio habitat naturale per autoaffamarsi e rinchiudersi a vita nella griglia d’un sottoscala. Se forzato, invece, e quindi originato dallo scherzo di buontemponi (eventualità non peregrina: chi sa come fare ci mette poco, in campagna, a intrappolarne una manciata d’esemplari e a disseminarli random per la città), rappresenterebbe l’ennesimo atto di quella malefica ignoranza di cui non scarseggiamo mai.

Resta esclusa, in ciò, l’ipotesi favolistica che potesse trattarsi di grilli parlanti: ché i Pinocchi sicuramente li abbiamo anche noi; ma nessuno, ormai, perderebbe più tempo per provare a redimerli. 

21 ottobre 2023 – © riproduzione riservata

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