Il fardello | di Iole Palumbo

Dovevo semplicemente smettere di correre. Una costatazione questa che fu la chiave di quella porta che cercavo di aprire senza sapere dove portasse. Avevo sempre preferito la tartaruga e la lumaca alla lepre. Hanno tutto ciò che serve sulle loro spalle. Non un peso ma un rifugio, che gli permette di avanzare senza affanni, scovare i dettagli sul loro percorso, difendersi dal superfluo. Fino ad allora la mia vita era stata una scala già tracciata per obiettivi, tutti raggiunti in tempo senza alcuna ricompensa. E io continuavo a considerarmi fuori contesto, ciò che avevo da dire non poteva essere chiuso in un post di facebook, né poteva durare 24 ore come una storia di instagram. 
La mattina che mi alzai lasciando vuota la scrivania dell’azienda di famiglia, spensi il telefono e mi rifugiai al parco. Mi portai dietro il mio guscio: un libro scelto lo scorso Natale per i momenti di relax. Constatai all’improvviso che quella circostanza nell’ultimo anno non si era mai verificata. Le serate in cui non ero troppo stanca da crollare sul cuscino, erano trascorse in qualche locale di cucina gourmet a cercare di capire quali fossero gli ingredienti nel piatto, a continuare a sorridere nonostante i piedi imprigionati nel tacco tredici di ultima tendenza.
Mi sorpresi a sentirmi come una ladra che stava rubando una giornata alla propria vita e mi piacque talmente che non riuscii più a farne a meno. Mi lasciai distrarre dalla compagnia dei bambini che mi circondarono rapiti dalle storie che narravo. A scuola, con le amiche ero sempre stata la migliore nei racconti, potevo continuare per ore, ma lo avevo dimenticato perché non c’era più chi mi ascoltava. Ora invece avevo un pubblico. Tornai il giorno successivo e quelli ancora dopo. Anche gli uditori crescevano e io per soddisfare le loro richieste immaginavo avventure, mostravo albi illustrati, leggevo romanzi. Ebbi la certezza che non sono i bambini a preferire il telefono, siamo noi a non avere tempo.
Svuotai gli armadi dai vestiti e feci posto ai libri, divoravo storie da regalare a me e agli altri. Bloccai anche l’accredito al mio analista, non ne avevo più bisogno perché avevo trovato da sola la mia panacea. Non fu dello stesso avviso mio marito che fece presto a fuggire. Le mie sorelle, invece, dopo qualche tentativo fallito di riportarmi alla normalità, pensarono di dover tutelare almeno i beni di famiglia. Per loro non fu difficile procedere con l’interdizione dalla gestione dei patrimoni; ma non ci rimasi male, del resto era quello che avevo sempre voluto. 
Ora scandivo le mie giornate secondo il mio orologio biologico e non secondo quello che il mondo aveva stabilito per me. Andavo finalmente adagio, sentivo di nuovo il gusto dei sapori uno alla volta, libera del superfluo. Avevo perso il mio fardello e mi ero, finalmente, ritrovata.

30 gennaio 2021 – Riproduzione riservata

Facebooktwittermail