I can’t ghetto

[di Ernesto Giacomino]

PalViaDAlighieriLa foto che ritrae questo palazzo non è d’epoca, non è una testimonianza dei bombardamenti alleati del ’43. Né arriva da qualche zona colpita da un sisma recente o da una di queste bidonville acquattate sotto le fauci delle megalopoli americane.
La foto è di martedì scorso, e lo stabile è a Battipaglia. Via Dante Alighieri: ovvero, a misurare con goniometro e compasso, il centro più centro della città. Appena alle spalle della chiesa madre e una ruzzolata di fianco al santuario.
Il palazzo è incastrato tra altri due edifici “normali” e ne condivide i muri. Peraltro – dalla facciata non si può scorgere – sul retro c’è stato un tentativo mal riuscito di allargarne un’ala (resistono muri non intonacati e buchi di finestre mai messe; tutta roba che sbuca dritta nelle case di chi affaccia sul retro). Insomma: già queste circostanze, da sole, considerando lo stato di usura ben visibile dalla foto (e una discendente situazione di agibilità pressoché ignota), puzzerebbero di pericolo.
Ma c’è di più. Dalla fine degli anni ’90 fino ad almeno il 2008 quello stesso palazzo – giacché disabitato, abbandonato e accessibile a tutti – è stato, in uno, ricovero per senzatetto, baluardo di resistenza per alcolisti poco anonimi, agenzia di spaccio e di viaggi via endovena, casa d’appuntamento per clienti con poche pretese. Un morto per overdose, una decina d’anni fa, scoperto solo perché non ricambiava più i saluti dal balcone (persona educatissima: la versione Top Crime di “Questi fantasmi”). Un incendio, l’anno dopo, dovuto al corto circuito di un impianto elettrico mai controllato o manutenuto dai tempi della scoperta dell’elettricità.
Quell’incendio, in verità, servì almeno ad evacuarlo, il palazzo. Ma così, a voce: oh, uscite subito o vi fate la bua. Nessuno si preoccupò di controllare se dentro ci fosse rimasto qualcuno. Né prima, né dopo: l’unica accortezza, a fiamme spente, fu transennarne il marciapiede e murarne gli accessi. Cosicché un qualunque tizio che per sbronza, malore o sonno pesante non avesse sentito gli schiamazzi notturni si sarebbe risvegliato murato vivo (o murato morto per non essersi risvegliato).
Ed è tutto rimasto così, da allora. Finanche i calcinacci staccati dal fuoco e circoscritti dalle transenne: a terra, ammassati, mai rimossi da chicchessia.
In quel palazzo, oggi, potrebbe esserci roba che, al confronto, la storiella dell’OMS e la carne tossica parrebbero innocue previsioni meteo. Virus e batteri delle siringhe sporche transitate nel solo portone potrebbero organizzarsi in un partito e presentarsi alle prossime politiche. Sporcizia diffusa, escrementi, olezzi, bottiglie rotte, tubature marce, ossa di desaparecidos non troppo lesti a trovare una via d’uscita, potrebbero aver favorito la fondazione di una Onlus di topi giganti col motto “vediamo se siete buoni a farcele fare mo’, le cavie”.
Cosicché, bla bla, tutti attenti alla sanificazione, misuriamo i micron delle stoffe ipoallergeniche, e le polveri sottili, e la marca del grammo di lievito nel pane del discount. Poi, la peste, ce l’abbiamo sotto al naso et voilà: passa oltre, basta non respirare.

13 novembre 2015 – © Riproduzione riservata
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