L’indiriss, ja?

[di Ernesto Giacomino]

E cosicché, pare che con i trasferimenti di questi ultimi mesi da via Plava a Palazzo di Città (una volta si diceva Municipio, ma oggi è demodé) si stia dando una botta risolutiva al capitolo “ritorno all’ovile” degli uffici comunali. Vedi alle volte che può farti, un terremoto: ti sfolla, ti fa evacuare, ma poi quando le procedure sono agili, i controlli efficienti e i costruttori onesti, nemmeno trentott’anni e si ritorna immediatamente alla normalità.
Il fatto è che oggi quello stesso edificio (ristrutturato e ammodernato, ma di volumetria immutata) dà l’impressione d’essersi smagrito parecchio, dai tempi del pre-sisma. Ci avremo messo materiali a basso contenuto calorico, che ne so. Oppure, in tutto questo tempo, mentre all’alba d’ogni mattina noi si stava tranquilli in branda a ronfare, mura e colonna se ne sono andate a fare corsettine salutari per le ville comunali.
Perché un tempo, lì dentro, oltre tutti gli uffici e sportelli pubblici ci contavi pure comando e sale operative della Polizia Municipale (e annessi autoveicoli), deposito mezzi e attrezzi della Nettezza Urbana e dell’Ufficio Tecnico, una discreta biblioteca comunale e – udite udite – addirittura (in corpo alla struttura, proprio, a mo’ di chiostro di monastero) un campetto polifunzionale per basket/pallavolo. Oggi, invece, la biblioteca è nella scuola De Amicis e la Polizia Municipale a via Rosa Jemma, così come mezzi e uffici degli ex settori N.U. e Tecnico, ai tempi avocati alla municipalizzata Alba Nuova. Senza contare un tot di metri quadri ancora occupati a via Plava dagli sportelli dei servizi demografici, e la sparizione del campetto/palestra (esisteva, giuro: ci corteggiai una pallavolista ai Giochi della Gioventù del ’79).
Ci si è allargati, insomma. Nonostante la crescita nazionale prossima allo zero, qui da noi a un certo punto l’utenza pubblica è invece diventata così vasta ed eterogenea da non consentirci più di tornare a un unico punto di riferimento per tutti gli impicci burocratici. Che magari, boh, sarà uscita una di queste norme in materia di sicurezza sul lavoro per cui toccano un minimo di metri quadri per ogni ufficio, inclusi addetti, avventori e vasi di gerani sul davanzale.
Comunque: tutta roba che costa ancora bei canoni di locazione, direbbe qualcuno. E beh, no: io vedrei anche le compensazioni con le multe, in questo caso. Dagli anni ’80 in qua, diversamente dalla popolazione, le macchine si saranno almeno triplicate (non ne conosco il fenomeno, non l’ho mai capito, ma l’impressione è che a voler calcolare una media verosimile esce che ciascuno di noi guida almeno due auto contemporaneamente). Per cui più sedi visiti, meno parcheggio trovi, più ti capita una seconda fila, una zona rimozione, un passo carrabile, un grattino di sosta impagato. Quando gira proprio bene può scattare anche il carroattrezzi, e lì tra contravvenzione e dissequestro ci si può rifare di un’intera giornata di affitto.
Quindi no, sereni, il perdurare della delocalizzazione non pare apportare alcun danno serio alla collettività; o almeno, non sul versante pecuniario. Su quello della stabilità psichica, invece, che dire: prematuro fare ipotesi, se non passano altri trentotto anni.

20 aprile 2018 – © Riproduzione riservata
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