L’arrivo a Santiago de Compostela

Il seguito del racconto del camino compiuto dagli scout del clan Castelluccio Agesci Battipaglia 1: gli ultimi tre giorni da Arzua fino a Santiago

6 agosto, da Arzua a O Pedrouzo
Oggi si parte per la penultima tappa. Andiamo verso O Pedrouzo, e siamo a 39 chilometri da Santiago. Per la prima volta da quando siamo partiti, non abbiamo ancora un luogo che ci ospita. Il sistema di ostelli che trovi sul cammino è straordinario. Sono tutti puliti, accoglienti, pieni di spazi di socializzazione e, soprattutto gli hospitaleros, i gestori degli ostelli, sono di una disponibilità e di una gioiosità difficile da descrivere. Purtroppo tutti gli ostelli contattati ieri erano già pieni, complice una nostra disattenzione nel contattarli solo in serata. La nostra unica opportunità è l’ostello municipale di O Pedrouzo, che ospita fino a 120 persone ma che non accetta prenotazioni. Anche questo fa parte del gioco di chi viaggia zaino in spalla, e quest’insicurezza sul posto che ci ospiterà ci avvicina ancora di più alla condizione dei migranti, che abbiamo conosciuto grazie a Oumar, nostro compagno di comunità arrivato dalla Guinea a soli 17 anni, ospitato oggi dalla casa famiglia Obiettivo Futuro. Oggi sentiamo il peso del non sapere dove passare la notte. Eppure siamo in gruppo. Eppure abbiamo una possibilità nell’ostello municipale. Eppure, mal che vada, è solo una notte. Eppure… non possiamo che sentirci ridicoli e andare con la gioia nel cuore, pensando a chi parte, con sofferenza, con la sola speranza di un futuro migliore per sé, per la propria famiglia e per il proprio villaggio.
La strada si fa sempre più faticosa. Le persone anziane spesso ripetono che “la coda è la parte peggiore da scorticare”, e più ci avviciniamo alla meta, e più sentiamo il peso dello zaino. Arriviamo all’ostello municipale, ci mettiamo in fila, e scopriamo che siamo tra i centoventi fortunati. O Pedrouzo è un paese piccolissimo, che ospita in questi giorni una fiera medievale con rapaci, cavalli, cammelli, e musiche celtiche. Domani ci aspetta l’ultima tappa, e stranamente all’attesa trepidante inizia a mescolarsi per pochi attimi la nostalgia.


7 agosto, da O Pedrouzo a Santiago de Compostela
Di una cosa non vi ho ancora parlato, la conchiglia di Santiago. La portiamo sui nostri zaini dal giorno di partenza per gli Hike e rappresenta il nostro essere pellegrini. Tutti la indossano sulla strada, chi appesa al collo, chi allo zaino. Anticamente era il simbolo di riconoscimento di tutti coloro che affrontavano il pellegrinaggio chiedendo ospitalità nelle case dei villaggi. La conchiglia è strettamente legata al culto di San Giacomo, apostolo di Gesù che si è spinto più a ovest, e anticamente veniva usata anche per abbeverarsi nei ruscelli incontrati nei sentieri. È un mandato, una chiamata a continuare a camminare sempre, e ancora una volta rende il senso della fratellanza, della vicinanza di tutte le persone sconosciute che camminano con te e non ti fanno sentire mai solo nel mondo. Non avrei mai pensato che prima o poi nella vita avrei potuto raccontare di aver percorso il Cammino di Santiago, ma sono qui, insieme ai migliori compagni di avventura che potessi mai desiderare, a percorrere gli ultimi 20 chilometri prima di arrivare a quella meta che da un anno a questa parte ci siamo prefissati. Dicevo, non avrei mai creduto di poterlo fare, ma ora sento la necessità di raccontare, di testimoniare, di portare a casa con me un’esperienza che non può restare solo mia. Perché se c’è una cosa che mi ha insegnato lo scoutismo è quella di arrivare per ripartire, di ricevere per donare, di vivere per testimoniare. Farsi portatori del bene, del bello e del vero.
Oggi la strada non finisce mai, gli ultimi 20 chilometri, la voglia irrefrenabile di arrivare alla fine. All’improvviso, dopo tanta salita, una gioia immensa, una goduria. Siamo sul monte di Goya (monte del godimento), il punto più alto della collina che si affaccia su Santiago, e all’orizzonte iniziamo a vedere la cattedrale. Ora solo sorrisi sui nostri volti, i piedi non fanno più male, la fatica non c’è più: ci siamo. Entrando nel centro storico e raggiungendo la maestosa cattedrale ci accorgiamo che è davvero più bella di quanto potessimo immaginare! La piazza è piena di persone. Qualcuno piange, altri cantano a squarciagola, altri ancora stanno in silenzio e si godono il momento. Noi siamo increduli, ce l’abbiamo fatta e sentiamo dentro di noi già la voglia di ripartire. La cattedrale è maestosa, entriamo a guardarla, ad osservare il maestoso botafumeiro, a dedicare una preghiera a noi stessi ed ai nostri cari. Non è importante la tua religione, il tuo credo o la tua razza: essere lì dentro ha per ognuno un significato diverso. Per noi era l’aver risposto ad una chiamata che solo camminando abbiamo riconosciuto. Andiamo a ricevere le nostre Compostela, le attestazioni che accertano la validità del pellegrinaggio raggiunta con almeno cento chilometri percorsi. Domani sarà il nostro ultimo giorno a Santiago, celebreremo insieme a tutte le persone arrivate oggi la messa del pellegrino, durante la quale saremo accolti tutti sentendoci chiamati per nome. Il sogno si è avverato: non resta che iniziare ad esserne consapevoli.

8 agosto, Santiago de Compostela
Siamo pronti, abbiamo indossato le nostre uniformi ed attraversiamo Santiago dopo aver riposato, osservando tutti i pellegrini che zoppicanti, affaticati, ma con un sorriso enorme sulla faccia, stanno per entrare a Piazza Obradoiro, attraversando il tunnel finale occupato sempre da musicisti che, come in un film, fanno da colonna sonora all’ingresso trionfale. La messa del pellegrino ci aspetta: qualcuno è pronto ad accoglierci senza conoscere né i nostri volti, né le nostre storie. La celebrazione è tutta in spagnolo. Alla fine della celebrazione è usanza per i pellegrini svolgere due azioni: la prima riguarda la tomba di San Giacomo, su cui è chiesto di pregare per un proprio nemico, una sorta di “deponiamo le armi” capace di farti sentire una persona migliore; la seconda è l’abbraccio all’apostolo, gesto con cui i pellegrini abbracciano la statua di San Giacomo, posta sull’altare maggiore, come si abbraccia l’amico che è stato con te sul cammino per tutti i chilometri affrontati. Questo secondo gesto, molto forte ma anche molto difficile da interiorizzare, abbiamo deciso di viverlo in modo diverso.

Free hugs
Il nostro cammino non è durato sei giorni, non centoventi chilometri, ma un anno. Un anno fatto di incontri, riflessioni, discussioni e scoperte. Un anno di amore e di umanità, di fratellanza e di mescolanza. Un anno di strada, di testimonianza, di vicinanza, di abbattimento delle distanze. Un anno di scelte, di stare dalla parte giusta di chi ama e vuole essere amato, dal vicino, dal diverso, dal distante. Tutto questo non poteva chiudersi con un abbraccio ad una strada ma con mille abbracci a persone vere, a cuori che battono. Ed è per questo che abbiamo deciso di collocarci in diversi punti della piazza a braccia aperte e occhi bendati, con un cartello con su scritto free hugs, abbracci gratis, per farci, con un semplice abbraccio, portatori della bellezza e dei sentimenti di un anno intero. Ecco, descrivere questa sensazione è impossibile. È impossibile raccontarvi dei mille abbracci ricevuti, lunghissimi o imbarazzati, commossi o carichi di gioia, ricevuti da bambini piccolissimi e da persone anziane con i volti carichi di speranza. Un’ora ad occhi chiusi. Un’ora di occhi più aperti che mai. Un’ora a conclusione di un anno che ci ha donato due cose: una certezza ed una responsabilità. La certezza che questo mondo è la cosa più bella che ci potesse capitare e la responsabilità di fare del nostro meglio affinché sia esattamente così per tutte le persone che incontriamo.

22 settembre 2017 – © Riproduzione riservata
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