Vita da papà. Il sabato mattina | di Simone Rocchi

Sabato mattina, io e JR accompagniamo mamma Bonnie in trasferta nell’hinterland milanese. JR è nostro figlio, ha diciassette mesi e non sta fermo nemmeno un secondo. 
Il sabato è il classico momento da papà e lo scenario è il tipico parchetto cittadino: altalene, pavimenti in gomma, scivoli sbiaditi ed una serie di altri giochi dalla forma elaborata e sponsorizzata dall’Associazione Ortopedici Italiani. Tempo mezz’ora e sono circondato da quattro papà e due nonni. Non fiata nessuno, i bambini si studiano tra di loro.
All’improvviso la quiete è squarciata dal rumore di pneumatici sull’asfalto: lo stridore appartiene ad una Panda grigia, che inchioda in mezzo alla strada, violenta la frizione e accosta vicino a noi. Scende una donna anziana ma arzilla: «Scusi» chiede con inflessione milanese «sto cercando via Quarto a Brugherio. Un posto grande, di cucine».
Ho già pronto il proverbiale “non sono di qui”, quando capisco che la sciura si sta rivolgendo al mio vicino di altalena.
«Ah certo, conosco» esordisce lui, con accento dell’Est Europa, prima di fornire indicazioni precise, che Google Maps si sogna. 
«Ué, calma, che io c’ho ottantanni né. Facciamo che arrivo in centro e poi lì chiedo ancora».
Il tizio mi guarda: ora davvero non posso più nascondermi.
«Signora, se ha il telefonino glielo impostiamo noi sul…».
Ma lei è già ripartita. In contromano.Esaurita la batteria di JR, col passeggino torniamo verso il centro: chiesetta in mattoni rossi circondata da agenzie immobiliari, panifici e un viale in porfido di soli bar. Divisi a metà: da una parte quelli da uomini e dall’altro quelli per coppie. Con JR che ronfa nel passeggino opto per i secondi. Cappuccino, brioche e inizio a scrivere.
Accanto a me, però, padre e figlia attirano la mia attenzione. Lei magra, dodici o tredici anni, capelli lunghi, castani, liscissimi; lui vicino ai cinquanta, polo blu e pelle chiarissima. Tema della chiacchierata: orientamento scolastico. Lei ha appena menzionato il Liceo delle Scienze Umane e lui si è irrigidito sulla sedia.
«Solo che poi dovrei per forza fare l’università. E io alla mia età non posso già essere vincolata fino a 25 anni».
«Eh».
Torno a scrivere, ma è giusto per non farmi beccare a origliare, ma duro poco.
«Oppure ci sono i Tecnici e i Professionali. Però non so, non vorrei fare l’estetista o la commessa». 
A questo punto il papà sbotta.
«Ma che discorsi sono? Se uno ragiona così allora non esisterebbero più le pizze o i parrucchieri. Bisogna avere rispetto».
Qui la mia mente prende il volo, si dissocia completamente e approda al livello basic del “Cosa mangeremo io e JR a pranzo?”. Un meccanismo di difesa che dipende da due cose: in primis dall’allergia ai pipponi, tutti, persino quelli inattaccabili: le conversazioni sono belle se partecipate, altrimenti sono monologhi o cazziatoni. E poi c’è una leggera forma di paura: per quando certe cose le dovremo spiegare noi; scegliere con cura parole, toni e smorfie; contare fino a mille prima di aprire bocca o arrabbiarci.
Mi risintonizzo sulla conversazione e scopro che sono arrivati, non so come, alla figura professionale del cablatore «che puoi fare anche senza diploma».
Guardo JR che ronfa e penso che va bene così: non serve proprio avere fretta.

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