Un problema che… scotta!

L’inverno è la sua stagione preferita, non è mai benvenuta, evoca sempre un pericolo incombente, viene da sempre combattuta: è la febbre. Tutti gli organismi a sangue caldo hanno sviluppato questo meccanismo per difendersi dalle infezioni. Con l’aumento della temperatura corporea le cellule immunitarie diventano più efficienti nel produrre gli anticorpi utili nell’aggredire ed eliminare i virus o i batteri. Eppure ogni volta che fa la sua comparsa è il panico. Nel passato le febbri erano spesso associate a malattie infettive gravi che mietevano  vittime tra grandi e piccini. È facilmente comprensibile quindi, come alla febbre alta si associasse l’idea della morte. Ma a far morire erano tubercolosi, meningite, broncopolmonite, malaria, tifo, colera, certo non la febbre che accompagnava queste infezioni. Grazie alle vaccinazioni ed agli antibiotici queste patologie sono quasi scomparse. I nostri bambini nella maggior parte dei casi sono affetti da malattie febbrili banali,  ma l’associazione mentale inconscia, febbre alta-danno-morte, probabilmente è rimasta. Ieri i nostri nonni si confrontavano con malattie gravi e pericolose, non avevano terapie efficaci per combatterle, ma affrontavano la febbre con meno ansia. Oggi invece: telefonata immediata al pediatra, ricerca affannosa del medico, corse al pronto soccorso, “vagonate” di antifebbrili, cortisone, spugnature…  tutto pur di far scendere la temperatura. Tanta energia sprecata per combattere un meccanismo che madre natura mirabilmente ha architettato e che noi umani, guidati dalle nostre paure, caparbiamente contrastiamo.
Bisogna imparare a gestire meglio la febbre. Nel 2013 il NICE britannico (National Institute for Health and Care Excellence) prima, e la SIP (Società Italiana di Pediatria) poi, hanno ritenuto opportuno pubblicare le seguenti linee guida sulla gestione della febbre: è da considerare normale la temperatura fino a 37,5°C e la temperatura va misurata con un termometro elettronico e in sede ascellare (il termometro a mercurio, se pur molto preciso, non è più utilizzato per la nota tossicità ambientale del mercurio stesso e va evitata la misurazione orale o rettale). L’impiego di ghiaccio, acqua fredda o alcool per far scendere la temperatura è sconsigliato, basta scoprirlo, e la febbre alta da sola non è in genere indicativa di infezione grave, più significativa è la valutazione dello stato generale del piccolo. Gli antifebbrili vanno somministrati solo se il bambino è particolarmente disturbato dalla febbre; i soli antifebbrili consigliati in età pediatrica sono il paracetamolo (unico farmaco utilizzabile sin dalla nascita) e l’ibuprofene e vanno dati per via orale. La somministrazione per via rettale va considerata solo in caso di vomito perché l’assorbimento del farmaco per tale via non è ottimale. Il dosaggio degli antifebbrili va calcolato in base al peso corporeo e non all’età del bambino; e i farmaci vanno dosati con gli appositi misurini acclusi alla confezione per evitare errori. L’uso dei cortisonici per far scendere la temperatura è da evitare, così come è inutile l’uso preventivo degli antifebbrili in bambini sottoposti a vaccinazione al fine di ridurre l’incidenza della febbre o per prevenire le convulsioni febbrili. Il bambino con febbre non va coperto molto a meno che non abbia brividi o freddo, non va forzato a mangiare ma va idratato offrendogli spremute, brodi e bevande tiepide. Va visitato prontamente quando è più abbattuto del solito, pallido, ansimante, poco reattivo, piagnucoloso e sofferente anche dopo che è scesa la temperatura. Il bambino febbrile al di sotto dei 3 mesi di vita va sempre monitorato con attenzione ed eventualmente ricoverato per un più elevato rischio di malattie importanti.

25 novembre 2016 – © Riproduzione riservata
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