Tra il vile e il fare

[di Ernesto Giacomino]

Succede in tarda serata, a inizio settimana. Zona via Baratta, uno dei tanti innesti intercostali dopo il disimpegno largo di via De Gasperi. Rincasando vedo ai balconi un fiorire inusuale di serrande spalancate e di gente affacciata. Individuo un conoscente, chiedo che è successo, lui mi spiega: poco prima la quiete del vicolo è stata rotta da suoni insoliti: imprecazioni sboccate di un ragazzo, rumore di schiaffi, urla di una ragazza. L’aggressore, dice, poi è scappato subito, intimorito dal sopraggiungere di alcuni passanti.
Starebbero anche arrivando i carabinieri, conclude, pur se l’intervento servirà a poco: è sparita anche la ragazza. Pare si sia rialzata da terra, intontita, e abbia spiegato che era tutto a posto, una banale discussione col suo ragazzo finita in maniera un po’ più animata delle altre. Ai militari, che arriveranno dopo pochi minuti, non resterà che raccogliere chiacchiere e pettegolezzi scomposti degli spettatori, di colpo tramutatisi da occhi invisibili accucciati dietro un vetro a testimoni oculari sprezzanti del pericolo.
Storie di ragazzini, si dirà poi. Amore focoso, nemmeno quarant’anni in due, di che ti vai a preoccupare. E infatti non fatico a immaginarlo, il verme in questione che torna alla carica da lei, si scusa col messaggio whatsapp sgrammaticato, la porta in scooter in costiera per riconquistarla: “giuro, non volevo, è il troppo stress: tutti i giorni in piedi già da mezzogiorno, e il cellulare ha pochi giga, e la discoteca non mi dà i biglietti omaggio, e ho perso la bolletta Snai per il pareggio del Pescara”. E lei, alla fine, ci ricascherà. Un’altra volta, l’ennesima, come magari succede da mesi. Seppure conscia che quello che è successo non è un episodio isolato, che ce ne saranno altri, che l’amore non può giustificare tutto, lo perdonerà. In fondo è la via più semplice, la meno eversiva, il rassicurante solco scavato da secoli di bestialità e sottomissioni.
No, ragazza, fidati. La tua non è l’esegesi di un sentimento complicato: è una chiara, trasparente storia di violenza. Una fra le tante – le decine, forse le centinaia – che quotidianamente, silenziosamente, ammantano di barbarie le case più insospettabili. Non per una qualche patologia, o crisi, o situazione di disagio: no. Semplicemente perché, che lo accettiamo o meno, qui da noi concetti come arroganza, sessismo e guapperia esistono “per tradizione”. L’ommo forte, mazze e panelle fanno i figli belli, la ritorsione, l’omertà, sono parte integrante di un malcostume atavico e diffuso che non riusciamo a sradicare. Lo acquisiamo a calci e sputi con la prima partitella a pallone nel vicolo e lo coltiviamo fino a tramandarlo ai nostri figli.
Il territorio c’entra poco, ancor meno la scusa di una mentalità condizionata dai soprusi storici. La camorra è la conseguenza, di questo pensiero, non la causa. Non fa altro, lei, che infilare il pungiglione da zecca nelle storture e negli squilibri di una comunità.
Per questo, sì: va fatta di tutta l’erba un fascio. Perché è solo sentendosi vili in partenza, additati come capi marchiati nello stesso branco informe, che forse – ripeto, forse – si può scovare la dignità per essere finalmente diversi.

16 settembre 2016 – © Riproduzione riservata
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