Ti lascio (là) perché ti amo troppo

[di Ernesto Giacomino]

Noi ci scherziamo, ma secondo me dopo il Castelluccio si appresta a essere il monumento più rappresentativo della città: anche, diciamolo – o soprattutto – per quel fascino da eterna incompiuta che solo poche opere hanno saputo acquisire negli anni. Cioè, tipo altra robetta messa giù da Schubert, o Gaudì, se non proprio Leonardo, per capirci: che vuoi che sia.

Il palazzo del commissariato a via Gonzaga, insomma. Che poi mi vengono i brividi solo a dargli un nome: è come evocare un entità paranormale, un supereroe dei fumetti, una dimensione parallela. Nessuno al mondo riuscirebbe mai a immaginarlo finito e funzionante. Nessuno saprebbe neanche che intonaco metterci, su quei mattoni a vista, per non sporcarli. Nessuno oserebbe togliere una sola pietra dai detriti che il tempo ci ha accumulato dentro, essendosi ormai tutto elevato a reliquia, feticcio, oggetto d’idolatria.

Fateci caso: fatto salvo il piano terra murato, con un minimo d’ingegno l’accesso sarebbe comunque libero a tutti; eppure nessuno ha mai avuto voglia d’entrarci. Religioso rispetto, voglio dire. Roba mai successa, con gli altri palazzi in costruzione: e badate che quand’ero ragazzino ce n’era almeno uno per rione, era impossibile non farsi tentare. S’entrava sempre, almeno per sentire lo scricchiolio di tavelle sotto i piedi, farsi le scale grezze senza ringhiere, affacciarsi in un buco squadrato nel muro come attraversando una porta spazio-temporale.

Questo qua no: questo, fin dalla progettazione, è sempre stato alla stregua d’un tempio consacrato a qualche divinità, che come minimo ad affacciarti nei pressi t’aspetti il gran sacerdote pelato, coi sandali e il saio, che ti rincorre lanciandoti anatemi in sanscrito.

Che poi, come ogni monumento storico che si rispetti, il nostro PalaNulla ha pure la sua ricorrenza celebrativa: una volta l’anno, senza una data precisa ma in concomitanza di marette circostanti (in genere elezioni, visite importanti, sentore di indagini dall’alto). Evento certo ma indeterminato, insomma, tipo festa della Speranza. Cioè, ogni tot di mesi, proprio, nel centro esatto dell’assoluto silenzio sull’argomento, sbuca la notiziona: ecco qua, decisione presa, accordo fatto, appalto dato. Signori, lo finiamo. Salvo poi, con calma, trovarsi in mano qualche altro cavillo per dire che no, s’era scherzato, serve un po’ più di tempo. E il demanio, gli stimmatini, la cubatura, la volumetria, i sindacati. Che se s’aggiungono inondazione e cavallette si rifà paro paro il monologo di Jake Blues.

Il Mose lo finiranno prima, sicuro. E probabilmente tra una manciata di mesi avremo il primo impianto hyperloop per viaggiare sottovuoto da Roma a Milano in due ore. L’umanità ha costruito tunnel sotto l’oceano, ponti che salgono a un palmo dal cielo, telescopi che vedranno il Big Bang. Ma nulla potranno, scienza e progresso, contro l’antico e irrisolvibile mistero del palazzo del commissariato di Battipaglia: che non può essere né finito né abbattuto, né comprato né regalato, né citato né ignorato. È il non-luogo di tutti noi, su cui i posteri sprecheranno teorie astronomiche e trattati di fisica quantistica. Ovviamente, non appena avranno finito di riderci dietro.

16 aprile 2021 – © riproduzione riservata

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