Strisce barbablù

[di Ernesto Giacomino]

ParcheggioPlavaLa favola era quella del marito plurivedovo che si teneva in salamoia le salme delle mogli passate, sottochiave nella stanza in fondo, e guai ad andarci a curiosare senza permesso. La realtà, invece, è quella delle migliaia di multe per “abuso di soste a pagamento” annullate in tutt’Italia, tenute ugualmente nascoste dai media in generale e dalla disinformazione in particolare. Nonché di due sentenze della Cassazione, una dello scorso anno e una risalente addirittura al 2007, perpetuamente disattese quand’è ora di salassare l’ignaro automobilista che non ha dove ficcare la macchina e s’arrischia a omettere il pagamento del talloncino nei parcheggi a pagamento.
In realtà, la Suprema Corte (come la chiamano i dotti) per fare chiarezza parla scuro: puoi parcheggiare gratis nelle strisce blu se “nelle vicinanze” il Comune non t’abbia predisposto un “adeguato numero” di parcheggi liberi. E, ove l’avesse fatto, deve dimostrartelo. Purtuttavia, giacché tanto il concetto di vicinanza quanto quello di adeguatezza paiono rientrare nella misurazione arbitraria di chi amministra, tranquilli che avvocati e giudici di pace avranno di che mettere tavola per intere generazioni a venire.
Il discorso m’è balzato in testa ritirando il biglietto del parcheggio di via Plava. Uno spiazzone – per anni, in verità, rimasto solo uno slargo acquitrinoso – che gli amministratori dell’epoca decantarono come soluzione maestra a tutti i problemi del parcheggio cittadino. Roba tipo millemila posti auto e ricchi premi e cotillons, aria climatizzata, vista mare e wi-fi ad alta velocita. Assolutamente gratuito, si prometteva dai manifesti. Assolutamente. D’altra parte era un’operazione “solidale” già in atto in parecchi comuni limitrofi, vuoi vedere che proprio noi restavamo indietro in questa lodevole competizione in progresso e civiltà?
All’epoca, dico. Però, poi, no. A via Plava a tutt’oggi si paga. Un euro l’ora, peraltro: non la metà, come quello di via Ripa, nato per una logica identica. Il che, considerando la zona un po’ a margine e quindi la natura di parcheggio per soste lunghe (per quelle brevi non vi scomodate: ci siamo evoluti come le metropoli, usiamo la doppia fila), equivale alla speranza che a fine serata quel parcometro dia il suo piccolo apporto ai conti pubblici.
Andando per rigor logico, però, sovviene un dubbio. Un’area privata ceduta alla mano pubblica (non so se per espropriazione, comodato, regalia, vincita ai dadi) può poi essere distrattamente distolta dallo scopo cui era destinata? Perché qui lo scopo – va sottolineato – non era il parcheggio in sé quanto la sua gratuità: ovvero, la ragione sovrana per cui quel parcheggio sarebbe dovuto sorgere.
A via Plava, ricordiamocelo, non è consentita alcuna sosta su entrambi i lati. E s’interseca con via Pastore, con analoghi divieti. Nei vicoletti limitrofi non si può parlare di parcheggi propriamente detti, ma di ruotate sui marciapiedi e infrazioni a slalom tra zone rimozione e passi carrabili.
Insomma: non so se qui siano stati davvero rispettati, quei concetti di vicinanza e adeguatezza sanciti dalla Cassazione. Di certo, a livello etico, ci sentiamo molto meno condannabili di quanto sembri.

18 0ttobre 2015 – © Riproduzione riservata
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