Sciarpe

[di Gabriella Pastorino]

Norina aveva 10 anni ed era in prima media quando toccò per la prima volta un ferro da calza.
Più volte la prof di Economia domestica (materia inghiottita da non so quale riforma della scuola) aveva detto alla mamma che Norina era una brava bambina educata e volenterosa, ma del tutto negata alle virtù femminili. Il che negli anni ‘50 per una ragazza di una cittaduzza del sud era abbastanza grave. 
La mamma, che sapeva che quella era la pura verità, taceva mortificata, ma quando la prof chiese cosa la ragazzina a fine anno avrebbe potuto esporre per la mostra dei lavori delle alunne, ritrovò la voce e disse che certamente avrebbe incoraggiato la figlia che la sera a casa ricamava con lei un servizio da the. Mentiva sapendo di mentire. 
“Bene – disse la prof – ma deve lavorare anche un po’ in classe” e la signora buttò lì che nelle ore di lezione la ragazzina avrebbe lavorato a una calda sciarpa che pure preparava. 
A casa, con la mano ben aperta a mimare uno sganassone, mise in mano a Norina due ferri da calza ed un gomitolo di lana gialla. Stranamente, dopo un inizio burrascoso – il ferro non si mantiene sotto il braccio, la lana scivola via, il ferro non prende il filo – a Norina il lavoro piacque perché sferruzzando seguiva beata le sue cento fantasie. La mamma le insegnò solo il punto dritto perché il rovescio avrebbe potuto confonderla.
Finito il gomitolo di lana gialla, la mamma gliene diede uno di lana blu, cui seguì, a giugno, uno color arancio. A fine anno, nella mostra dei lavori delle alunne della prima B, sotto il cartellino col nome di Norina, faceva bella mostra un raffinato servizio da the color écru, ricamato delicatamente ton sur ton dalla ricamatrice più brava del paese.
La sciarpa a righe riposò fino a Natale, quando in seconda media Norina la riprese per lavorare un gomitolo verde mela e poi uno rosso e poi…
…Quella lunga lunga sciarpa avrebbe riscaldato per decenni i bambini di casa a ogni preannuncio di mal di gola; poiché la portavano quasi sempre a letto, veniva conservata pulita, ammorbidita e profumata…
Norina faticosamente arrivò al diplomino magistrale. Addirittura andò sino a Roma per la prova scritta del concorso magistrale. Un flop.
Non era una beltà e all’età di 21 anni compiuti vedeva materializzarsi l’incubo di ogni brava ragazza: lo zitellaggio. La prima sorella si era maritata a soli 17 anni e quando Aurelio, il figlio del fornaio, cominciò a girare per casa per un’improvvisa amicizia con Marietto, il fratello piccolo, la mamma, sorridente, attenta e premurosa tirò fuori i ferri da calza che dormivano da una decina d’anni, comprò della lana mohair verde bosco e piazzò il tutto in mano a Norina: “È bruttarella – pensava – ma è maestra e così Aurelio vede che ha pure le virtù femminili”.
Norina era di fianco largo e coscia corta, mentre Erminia, la piccola di casa, era bellina e smorfiosa. Se ne accorse Aurelio… e fu una tragedia: Aurelio si prese tutte le sue responsabilità, oltre pugni e calci da Marietto, due schiaffoni da suo padre e minacce di morte dal padre di Erminia.
Norina ripose ferri e lana mohair verde bosco, ma poi, malinconicamente imparò a fare il punto rovescio che, alternato al dritto, dava vita a belle lunghe sciarpone. 
Aveva accettato di far doposcuola a tutti i somarelli mocciosi del paese e conservava i soldi per… boh, magari un viaggio a Parigi… e non osava pensare a un viaggio di nozze.
E così per più di 40 anni, ogni giorno, per sei giorni la settimana Norina – la maestra Norina, come specificava la mamma – riceveva una decina di bambini, li sistemava intorno a due tavoli e cominciava a sferruzzare alacremente interrompendosi per guidare una manina incerta. 
Solo sciarpe, tante tante sciarpe.
Sei finirono in America quando i cugini del papà vennero da Detroit e Norina sferruzzò per loro e per i quattro nipoti lontani belle lunghe soffici sciarpe colorate con lunghe frange.
Don Bartolomeo ne chiese una da mettere come premio per la lotteria della Chiesa; e poi dal pulpito chiese ai fedeli di portare più lana possibile perché le mani benedette della maestra Norina ne avrebbero ricavato caldo e tepore per i poverelli.
E Norina lavava e sistemava mille fili, torcendoli poi insieme e ricavandone gomitoloni dai quali nascevano sciarpe melange dalle strane fantasie, comunque calde calde.
Rinsecchita, claudicante per l’osteoporosi, la maestra Norina sessantenne, si spegneva.
Le teneva tanta compagnia la pronipotina sedicenne, Nora, che un giorno era arrivata con un uncinetto con il quale bordava le sciarpe su tutti i lati. Norina le si affezionò e quando in un settembre piovoso capì di essere più o meno arrivata al capolinea, febbricitante si confidò con la ragazzina. Disse che la sua vita era stata una cretinata, scandita da sciarpe, tante inutili sciarpe. Lei, Nora, doveva piantarla con l’uncinetto e se proprio voleva far qualcosa doveva farsi pagare, mai regalare niente perché non si è apprezzate. 
E poi Norina morente disse che avrebbe voluto rivedere la sciarpa a righe a punto dritto e quella di mohair verde sottobosco. Nora la capì in parte; cercò fra le zie la sciarpa a righe e la trovò, ma Norina era già volata via. 
Quando risistemarono la vecchia casa, in fondo alla cassa del corredo di zia Norina, vuotata dai continui doni alle spose di famiglia, trovò pure quasi mezzo metro di soffice sciarpa mohair verde bosco ben lavorata.

12 giugno 2021 – © riproduzione riservata

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