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[di Ernesto Giacomino]

Più Europa, meno Battipaglia. Le infrastrutture utili passano per il sacrificio. Quelle inutili, per i danni alla collettività. Ma la riaprono, via Brodolini. Tranquilli che lo fanno: ai primi di febbraio, dicono. Giusto nei dintorni del primo compleanno dall’insediamento del cantiere. E beh, la commozione: sembra ieri che lo si teneva in braccio.

La storia, tribolata, è cosa nota. Ci sono stati assegnati soldini comunitari per fare un’ottima e completa retrostazione a una stazione ottimamente completata a metà. Tutto un progetto elaboratissimo di parcheggi per pullman che non ci sono, pensiline per i non-passeggeri e locali futuristici vari da adibire a… locali futuristici vari. Insomma, la Dubai della Piana del Sele.

E ok, poco importa, in fondo “chi fraveca e sfraveca non perde mai tempo”. Specie quando, una volta tanto, il grosso della spesa se la accolla gente diversa dai cittadini. Per la realizzazione di cotanta opera occorreva però chiudere una strada. Non una qualunque, ovviamente, ché sarebbe stato troppo facile e ci avrebbero tacciati per dilettanti. S’è chiusa via Brodolini: l’accesso principale all’intera zona industriale di Battipaglia. Ma sì, che sarà mai, giusto una manciata di settimane e ve la restituiamo più bella di prima, si disse. Poi, ovvio, l’intoppo. Succede nelle migliori famiglie: cominci ad allargare l’autostrada e solo dopo ti spunta l’anfora etrusca che ti fa bloccare dalla Soprintendenza, progetti il ponte sullo Stretto e solo dopo t’accorgi che tutti i sismologi del mondo la indicano come l’area più pericolosa del Mediterraneo. Qua, idem: impianti il cantiere, barrichi le strade, ammazzi l’economia della zona e solo dopo t’accorgi che c’è un problema di cavi e linee interrate che bloccano i lavori.

Ovviamente, fatto il guaio, trovata anche la soluzione. Di fronte a una popolazione inferocita, imprenditori impoveriti e traffico disorientato, eccoti superato il problema con uno stratagemma dialettico: la promessa. “La tal impresa garantisce che entro il tot del mese tot sarà rispristinata la viabilità”. E tutti a sospirare di sollievo: ché tanto loro lo sapevano, che poi non stavamo là a puntare il calendario come carcerati in attesa di liberazione. La sopravvivenza quotidiana ci prende, ci distrae, ci addomestica; e allora quella data s’è potuta cannare, sforare e sostituire sotto gli occhi, in perfetta sordina. Tant’è che il loro ragioniere secondo me, fra le scadenze di bonifici e ricevute bancarie tiene sotto controllo pure quelle via via dichiarate nelle varie comunicazioni ufficiali, così da rinnovarle per tempo senza troppi rumori dal basso. Potenza della comunicazione, ah sì.

Ciò che mi stupisce, in realtà, è che da un anno a questa parte, pur sapendo che questa famosa “imminenza” di riapertura era più fumosa di un comignolo intasato, è parso comunque impossibile sgomberarla almeno provvisoriamente, quella strada.

Come dire che sì, è vero, siamo nel ventunesimo secolo, operiamo col laser e stipiamo miliardi di informazioni in microchip più piccoli di uno spillo. Ma trovare un qualche sistema per ammassare un po’ di terriccio e mettere un rappezzamento di fortuna, quello no: non ci siamo ancora arrivati.

29 gennaio 2015 – © Riproduzione riservata

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