Sasso, carta, forbice
[di Ernesto Giacomino]
Il disagio battipagliese è un po’ come quei campi coltivati a rotazione, smercia problemi diversi a seconda del periodo dell’anno. C’è il momento della polemica politica, poi quello del litorale lercio, poi quello della balneabilità, poi quello della puzza d’immondizia. Ciclicamente, infine, il sipario si apre sulla questione della sicurezza degli immobili.
Il crollo, lunedì scorso, del muro di una palazzina in zona Sant’Anna, a ben vedere è solo l’ultimo – per quanto sensibilmente più grave e pericoloso dei precedenti – di una serie di microdrammi che più o meno frequentemente bloccano le strade e richiedono l’intervento urgente di pompieri e addetti ai lavori: esplosioni di tubature, calcinacci in volo dai balconi, tegole strappate dal vento. Momenti in cui il mattone si ribella, insomma, e rivomita in faccia alla città, a scelta, o un’approssimazione nella costruzione o una scarsa puntualità di manutenzione.
Tutti episodi che, prescindendo dalla presenza o meno di colpe e omissioni, ogni volta offrono quantomeno lo spunto per una riflessione più generale circa lo stato di salute del parco immobiliare di una città che – diciamocelo – non ha mai spiccato per ordine e chiarezza in tema di regolamentazioni edlizie.
Mi tornano in mente, per dire, i palazzi dichiarati pericolanti col terremoto dell’80: pochi quelli realmente abbattuti e ricostruiti, tanti i “parzialmente ristrutturati” col benefit statale dopo aver scontato l’onta temporanea del sigillo d’inagibilità. E beh, considerando che si è prossimi al “festeggiamento” dei quarant’anni da cotanto investimento in sicurezza, una controllatina suppletiva non farebbe male. A via Dante Alighieri, per dire, esiste ancora un residuato sismico che ha scontato due incendi e decenni di occupazioni abusive di disperati vari, in cui chiunque s’è tirato su un proprio impianto elettrico di fili appesi e messe a terra inesistenti, ha sfondato pareti, ha danneggiato tubi inzuppando muri e pavimenti. Dopo l’ultima evacuazione coatta ne fu solo murato l’ingresso, ma immagino che alla collettività non spiacerebbe un sopralluogo per conoscerne l’attuale stato di pericolosità (“per sé e per gli altri”, come si usa dire, giacché è bello che incastrato tra due palazzine abitatissime).
L’abusivismo, poi. Non prendiamoci in giro: c’è stato, c’è, ci sarà. Chiaro che non preoccupa quello formale, fatto di metri in più o in meno rispetto alla media del rione o che s’impiccia con questioni estetiche o d’intonazione cromatica. Preoccupa magari quello “sanato” anni addietro, con norme più lassiste e meno micragnose di quelle attuali, per le quali, oggi, potrebbero essere fuorilegge metodi e materiali che all’epoca erano pacificamente ammessi o almeno tollerati.
Non dimenticando, in ciò, la questione amianto. Parlandone sembra sempre che ci siferisca a un fantasma, a un problema definitivamente risolto e superato; eppure continuano a spuntare segnalazioni di concittadini che affermano di vederne ancora lastroni sparsi su tetti, capannoni, recinzioni, con tanto di documentazione fotografica.
Insomma: se davvero vogliamo mettere a posto una città, c’è qualcosa di più solido e concreto che partire dalle fatidiche “fondamenta”?