Roberto Capasso, una vita dedicata all’Uganda
[di Antonio Abate]
Abbiamo avuto la fortuna di (ri)incontrare Roberto Capasso che, gentilmente, ci ha concesso un’intervista prima di ripartire per l’Uganda.
Roberto, ormai sono anni che ti dedichi a questa vera e propria missione umanitaria. Qual è stata la molla che è scattata, che ti ha convinto a cambiare vita?
«Casualità. Da giovane andai in Cameroon per un campo WWF e lì vidi tutto il disagio di quella povera gente. Sentii il desiderio di dare una mano ed iniziai a cercare qualcuno che poteva aiutarmi a realizzare questo mio sogno. Ed eccomi qui, pronto a ripartire per il mio tredicesimo anno in Uganda».
Un periodo sicuramente lunghissimo. Ci vuoi dire cosa è cambiato in questo lungo lasso di tempo?
«Tanto ma ancora poco. In questi anni, per fortuna, la guerra tra ribelli e Governo locale si è quasi del tutto appianata e le zone martoriate nei pressi della capitale Kampala stanno pian piano trovando la strada per una lenta industrializzazione. Purtroppo però tuttora permangono centri, come la città di Moroto, in cui i conflitti sono all’ordine del giorno specialmente per il possesso di bestiame, bene di lusso che molto spesso viene sottratto alla povera gente da parte di piccoli gruppi armati».
Qual è stato il tuo ruolo in questi anni?
«Dal 2000 al 2004, a Kampala, ero un addetto all’organizzazione generale dei fondi e delle risorse per l’associazione “Cooperazione e Sviluppo”. Pian piano però mi sono dedicato sempre più ai bambini, cercando di raccogliere fondi per assicurargli un futuro dignitoso. Dal 2004 mi sono trasferito a Moroto e fortunatamente, sempre con l’associazione, siamo riusciti a costruire un centro accoglienza per i giovani, dove tutti i ragazzi vengono aiutati e non lasciati marcire in strada dopo la scuola. Una specie di oratorio che tuttora va avanti, anche senza il mio aiuto. Dal 2011, infatti, ho sentito la necessità di distaccarmi dall’associazione e dal centro che ormai ha raggiunto una certa stabilità».
Come mai questa scelta?
«La vita è fatta di cambiamenti e ho capito che bisognava andare oltre, cercare altre strade, altri angoli dimenticati per tendere una mano verso i bambini poco fortunati. Da qualche tempo aiuto un pastore protestante nella gestione di un orfanotrofio. Le condizioni sono disperate: abbiamo circa 80 tra ragazzi e ragazze che dormono su pochi letti, mangiano per terra, vivono costantemente a contatto con le zanzare e la malaria. 4 sono sieropositivi e due sono disabili. I due edifici che li ospitano sono fatiscenti e con il poco denaro a disposizione cerchiamo di mandare i bimbi a scuola e di procurare loro del cibo».
Hai mai pensato di lasciar perdere tutto?
«Certamente. Mi sono spesso sentito non in grado, inutile, soprattutto nel vedere la violenza che intorno a me spazzava quel poco che di buono riuscivamo a fare. Basti pensare che nei primi anni della mia permanenza la guerra era così crudele che i bimbi venivano rapiti e un missionario che cercava di aiutarli fu brutalmente ucciso. Però io sono consapevole di queste difficoltà e vado avanti con l’aiuto di Dio».
Cosa ti senti di chiedere a chi ti ascolta, per aiutare i bambini bisognosi dell’Uganda?
«Offerte spontanee per aiutare i bimbi a studiare e mangiare. Chiunque volesse, può contattarmi al numero telefonico italiano 328 1688923. L’orfanotrofio in questione è l’Oasis of Life di Natete, Kampala. Spero davvero in un grande aiuto da parte di tutti perché questi sono bimbi davvero sfortunati e solo noi possiamo aiutarli a migliorare la loro tragica condizione di vita».
Nella speranza che il suo appello non rimanga isolato, abbiamo lasciato Roberto a preparare le ultime cose per il viaggio.
10 ottobre 2013 – © Riproduzione riservata