Ritorno al futuro

[di Ernesto Giacomino]

Cosicché, un po’ sottotraccia rispetto agli avvenimenti epocali che stiamo vivendo, un passettino alla volta ci si sta avvicinando all’ultimo Natale di questa consiliatura. Che – salvo improbabili colpi di scena dell’ultim’ora – parrebbe essere la prima, dopo decenni, che arriverà alla sua scadenza naturale. E già questo è un fatto non dico da festeggiare, ma almeno da celebrare. Ché noi, ad averci in contemporanea sia un sindaco in carica (anziché un commissario o un facente funzioni) che candidati che s’attrezzano per scalzarlo in regolari elezioni non ci siamo mica abituati, eh.
È che nel caos dell’eccezionalità del momento sta passando in secondo piano, ma hai voglia che per le prossime comunali si stanno già scaldando i motori. Scaldando, rodando, accordando. Prove generali alla Sanremo, insomma: tant’è che pure qua ce la si gioca sulle due corsie, i big e le nuove proposte, e spesso fai fatica a distinguerli perché i primi si spacciano per i secondi, e viceversa.
Quello che pare davvero confermato, comunque, è questo fatto della progressiva scomparsa dei partiti. Un esperimento che s’era già tentato proprio con l’avvento della gestione Francese, quattro anni e spiccioli fa, sorretta da un consiglio comunale così eterogeneo e trasversale che spesso la stessa persona era sia in maggioranza che in opposizione ed era costretta a litigare da sola. Alla fine però il passato è duro da scordare, e certe ideologie e contrapposizioni ancora peggio. Un po’ di ruggine, qualche scricchiolio, qualche defezione importante: s’è tirato avanti, ok, ma il progetto iniziale prevedeva altro.
E fu sera e fu mattina, quindi. Ci si organizza, un po’ dappertutto, per questa nuova avventura sostanzialmente “decolorata”: pochi o zero, ad oggi, i candidati o presunti tali che abbiano faccia e voglia di mettersi sotto un simbolo tradizionale. Certo, anche lì non è che sia tutto chiarissimo: abbiamo ormai le destre progressiste e filoproletarie, che avversano le multinazionali e strizzano l’occhio allo stato sociale, e dall’altre parte le sinistre di operai sedotti dal berlusconismo che hanno abbandonato la lotta di classe a favore del letto con casse (di champagne). Ma quelli, i direttivi dei partiti, restano comunque pignoli, prima di sceglierti vogliono sapere chi sei, che background hai, che ideologia segui. Invece, una lista civica che ti autocrei in totale autonomia al massimo deve interfacciare con grafici e tipografi per scegliere logo e colori.
Insomma, decidere di non aspettare l’investitura d’un segretario di partito appare non encomiabile ma neanche condannabile: essere consigliere del Pd in un consiglio con maggioranza di centrodestra t’indirizza verso l’opposizione perpetua, ma essere consigliere d’una lista civica chiamata, che ne so, “L’ultimo tango a Battipaglia”, ti dà facoltà di scelta su quale parte appoggiare a seconda dell’umore, il santo del giorno e il finale del tuo film preferito. 
Tutto solo, unicamente, per quello: per essere lassù, in quelle stanze umide e datate con vista piazza Aldo Moro. A qualunque costo. Manco fosse il palazzo di vetro dell’Onu, il CdA della Apple, la giuria per il Nobel. Un giorno, sul serio, ad alcuni andrebbe chiesto di metterci per iscritto il vero motivo per cui lo fanno. E non dicessero “per il bene della città”, che sono tempi bui e scoppiare a ridere è irriguardoso.

18 dicembre 2020 – © Riproduzione riservata

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