Rappezzi di ricambio

[di Ernesto Giacomino]

La scultura che vedete in foto s’intitola “Elogio della strafottenza” ed è stata depositata in via Ionio da autore anonimo sicuramente nei primissimi giorni dello scorso aprile. E altrettanto sicuramente è rimasta lì almeno fino all’ultima settimana del mese, periodo in cui è stata scattata la foto. Un minimo garantito di venti e più giorni di permanenza, dunque; ma se si è fortunati è possibile che l’opera sia ancora in esposizione, per qualche ritardatario che se la fosse persa. 
All’acuto osservatore non sfuggirà che essa consta in un paraurti d’autovettura; il che, per una sorta di messaggio subliminale che automaticamente scaturisce dalla sua visione, induce subito all’auto-formulazione di due filosofici interrogativi: come ha fatto un paraurti a rimanere su un marciapiede senza la relativa macchina attaccata dietro? Perché quel paraurti, dopo settimane di abbandono, è ancora lì?
Sulla prima domanda il ventaglio di risposte plausibili è abbastanza ampio. Si va dal “niente, s’è sganciato e basta”, a “è stato un voluto atto di protesta sociale per porre all’attenzione dell’opinione pubblica la solitudine dei marciapiedi nel mondo”, passando per “mica è un paraurti, è un alieno mutante che ci sta spiando”. E inquieta non poco, peraltro, sapere che chissà da quanto tempo a Battipaglia circola una macchina sdentata che alla prima bottarella a un palo sfonderà il radiatore. Ma si sa, è il prezzo della notorietà. O della ribellione. O del fatto che magari il proprietario ancora non se n’è accorto.
Circa la seconda, di domanda, e beh: lì la risposta è più difficile. Perché per rispondere occorre prendere atto che in una zona centrale della città, con un alto flusso di frequentazione sia di veicoli che di pedoni, nessuno dei residenti pare essersi accorto d’un pezzo di macchina messo là a mantecare da giorni. O, peggio ancora, che se ne sia accorto ma abbia pensato che non era un suo problema. Lui, come un altro, come tanti altri, come tutti. Evidentemente piace, fa arredo urbano. Con un piccolo adattamento di natiche supplisce pure all’assenza di panchine. E alla lunga, dai, si finisce per affezionarcisi, si sa come funziona. Un giorno la carezza di uno, il giorno dopo il piatto caldo dell’altro, e in un niente diventa il coccolato e vezzeggiato paraurti randagio del quartiere.
E non c’è nemmeno da temere che un giorno o l’altro arrivi l’accalappiacani, lo trovi senza microchip e lo porti al canile. Di aziende così, che vedono in strada qualcosa d’inusuale e se ne occupano comunque, anche se non gli compete o se un capo non gliel’abbia esplicitamente ordinato, leggenda narra che in altri comuni ce ne siano, ma che qui da noi il rischio non si corra.
Perché tanto il decoro urbano è un problema solo quando ci tocca personalmente, quando ci inzaccherano il tappetino davanti casa, quando un abuso edilizio ci deturpa la visuale, quando magari quel paraurti ci sporca le scarpe nuove o la giacca alla moda.
Fino ad allora, che vuoi che sia: può essere oro o immondizia, può piacere o meno, può apparire di cattivo o buon gusto. Ma tutto sommato, signori, si tratta pur sempre di arte.

3 maggio 2019 – © Riproduzione riservata

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