Ragazzi fuori

[di Ernesto Giacomino]

Dice che a Battipaglia, se t’è venuto a noia il palazzo in cui abiti, basta che ci metti davanti la tabella “Scuola”. Poi magari spacchi una finestra, fai crescere graminacee in cortile, ti applichi d’idrante sulla facciata per dare quell’idea di fatiscenza. E niente: tranquillo che verranno a demolirlo. E poi – chiaramente, avendo tempo e pazienza d’aspettare l’iter burocratico, i blocchi, gli imprevisti, i ritardi delle imprese e via cantando – in un tempo variabile dai sei mesi ai trent’anni te lo ritireranno su nuovissimo e funzionale, con tutt’altro stile e impatto estetico nonché conforme a qualunque normativa edilizia ed energetica presente, futura o immaginaria.

Non conosce sosta, insomma, l’avanzare della famigerata iniziativa “Fashion School”, il progetto di riqualificazione tombale d’ogni manufatto cittadino che a tutt’oggi ospiti un’aula: ieri giù le Fiorentino elementari, l’altro ieri giù le Fiorentino medie, tra un po’ giù le Marconi. Prossimamente, addirittura, giù l’asilo del plesso delle scuole Gatto.

Che ok, non si tratta d’un edificio di primissimo pelo, a occhio e croce saremo sulla quarantina d’anni di vetustà, e però: davvero versa in condizioni così pietose e irrecuperabili, quel fabbricato, da necessitare – piuttosto che d’una buona, mirata ristrutturazione – addirittura d’un abbattimento e conseguente ricostruzione? Per quale motivo? Troppo piccolo, stanze maldistribuite, sovraffollamento alunni, alluce valgo, flatulenze moleste? 

Voglio dire: è un asilo nato quando di bambini ce n’erano pressappoco come adesso, eh. E che forse accoglieva anche parte dell’utenza di altri rioni che oggi hanno una loro struttura dedicata e all’epoca no. C’è davvero, insomma, quest’urgenza di tirare giù e fare macerie come non ci fosse un domani? 

In ciò poi, le perplessità dei genitori: s’è deciso che verrà abbattuto, dicono, e non si sa come e quando verrà ricostruito. Nessuna indicazione su dove, nel frattempo, saranno redistribuiti i bambini “evacuati” da quella scuola, o sulla sorte di maestri e maestre a cui frattanto s’erano affezionati.

Parole molte, insomma, certezze poche. Salvo una, la solita: chiaramente, ci sarà l’ennesimo incremento del traffico cittadino nell’orario scolastico. Da un lato perché un cantiere in mezzo a uno degli istituti scolastici più frequentati della città di certo non sarà garanzia di scorrevolezza e posti auto. Dall’altro perché il grosso delle famiglie di questi piccoli, potenziali “sfrattati” ha figli, in quel plesso, sia alla scuola dell’infanzia che a quella primaria, e gli occorrerà fare “tappa doppia” – alias doppia, massiccia occupazione di strade – per accompagnarli entrambi.

È che siamo cresciuti con un senso di compensazione strana, noi, tra agio e disagio. Quella cosa troppo comoda per cui si pretende che alla sopportazione d’un intralcio oggi debba conseguire il godimento dei benefici domani. Come dire: ci auspichiamo sempre, noiosamente, una correlazione tra le due cose certa, dogmatica e matematica; senza saper apprezzare il fascino dell’imprevisto, dell’aleatorietà.

Quando invece anche qui, come in ogni altra avventura che si rispetti, vale quella massima ormai attribuita un po’ a chiunque: “è sempre il viaggio che conta, e mai la destinazione”.

28 gennaio 2023 – © riproduzione riservata

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