Raccontarsi
Oggi si assiste alla diffusione del desiderio di raccontarsi. Mettere per iscritto le situazioni ad alto tasso emotivo della propria vita, cercando di chiarire ciò che si pensa e si sente al riguardo, viene di solito considerato come una forma di semplice “sfogo”. Lo scrivente deposita sulla pagina scritta le proprie ansie, i conflitti, i ricordi dolorosi o semplicemente significativi, confrontandosi con se stesso come se si stesse guardando allo specchio.
Si tratta, in realtà, non solo di uno sfogo, ma di una attività che può dare molti vantaggi in termini di benessere: miglioramento dello stato generale di salute, modificazione in senso positivo degli atteggiamenti individuali e delle relazioni interpersonali, incremento dell’efficienza personale.
La conoscenza di sé e della nostra storia ci consente di instaurare rapporti interpersonali più profondi, perché l’essere umano è portato per natura a rappresentare la realtà sotto forma narrativa e ad utilizzare il racconto come “merce di scambio” nel relazionarsi agli altri. Ciò non significa che, attraverso la scrittura, si possa risolvere ogni problema inerente ai rapporti interpersonali; semplicemente, scrivere rappresenta, per il soggetto narrante, un trampolino di lancio per mettersi pienamente in gioco nelle relazioni andando incontro alle storie di vita di coloro che ci circondano e con i quali entriamo in contatto.
La riflessione autobiografica, inoltre, contribuisce ad inserire le vicende di vita in un continuum storico, aiutando la persona ad andare oltre le contingenze del presente e a proiettarsi nel futuro, alla luce di quanto si è già fatto e si va facendo. Non si tratta di fuggire dal presente, ma, al contrario, di viverlo con maggiore consapevolezza proiettati verso il futuro.
Naturalmente questo lavoro può essere fatto solo con la guida del professionista psicologo. Se si sensibilizzano, con attenzione, le persone all’ascolto delle storie di vita altrui, partendo dalla consapevolezza della propria, si può diffondere un atteggiamento più consapevole rispetto alla necessità di promuovere il benessere del singolo. In altre parole, viene veicolata l’idea che il benessere psicologico non sia una condizione da dare per scontata fino al momento in cui non insorga uno stato di malessere, bensì una condizione che va coltivata per tutto l’arco della vita.
Ciò significa che il lavoro autobiografico rappresenta uno strumento molto efficace per coltivare nelle persone il senso della ricerca, della problematicità, il quale costituisce l’esatta antitesi di un’identità cristallizzata, che rifiuta di mettersi in discussione e non sa fare fronte alle contraddizioni e alle sfide sempre diverse che la vita presenta.
In altre parole, il benessere non nasce dalla conservazione di schemi di vita, considerati indice del possesso di equilibrio, quanto piuttosto dalla capacità di sapersi mettere in discussione, di convivere con la propria complessità e le proprie contraddizioni, nella convinzione che la vita stessa altro non sia che un percorso continuo di crescita e di consapevolezza.