Quelli della notte

[di Ernesto Giacomino]

S’era intorno all’85, prossimi al Natale, i più discoli fra noi ragazzini di via Italia giravano armati di mortaretti e bengala per far folclore per le strade. E una sera un gruppetto di loro, nel rincasare, fece esplodere dei “raudi” in una cabina telefonica. Risultato: la gettoniera, già malmessa, rovinò al suolo sputando qualche spicciolo.
La scena non sfuggì a una gazzella dei carabinieri che transitava nei paraggi: totale, cinque arrestati per “furto con scasso”, di cui tre inviati al carcere minorile di Eboli e due – appena maggiorenni – a Fuorni.
Erano miei amici, e quando uscirono mi resi conto che quell’esperienza li aveva cambiati per sempre. Col tempo ne abbiamo seppelliti un paio per overdose; altri, in carcere, coltivarono sinergie che li condussero a reati assai più prolifici di due miccette a un telefono pubblico. “Allora c’erano portati”, disse pure qualcuno. Hai voglia a spiegarglielo, che a quell’età non vuoi deludere nessuno. Se ti dicono che sei un genio, t’impegni nello studio della fusione nucleare a freddo. Se ti convincono che sei un rifiuto sociale, viri su pistole e lacci emostatici.
Il ricordo di quell’episodio, in realtà, non è mai causale: mi torna in mente spesso, ogni volta che noto il crescendo d’incuria e di scarsità di senso civico che ci va sempre più contraddistinguendo. Perché, a mia memoria, credo che quello sia stato tra i pochi atti vandalici a Battipaglia a cui sia seguita una punizione certa e concreta. Per quanto, in quel caso, surreale, grottesca. Spropositata.
Per il resto, ammettiamolo, è una vita che navighiamo tra gli impuniti. Montiamo i cestini pubblici per la differenziata? Niente, arriva l’imbecille che li smonta e nasconde. I commercianti spendono soldi per piantare fiori nelle aiuole? Tutto inutile, già calpestati e divelti.
Situazioni che, ovviamente, fanno il paio con i ripetuti danneggiamenti e incendi alle auto in sosta, con le insozzate di vernice sui muri, con le macchine che nottetempo improvvisano rally e tirate da Formula Uno per i vicoli, con i deficienti che passano alle due di notte con lo stereo a mille, con gli ubriachi che spaccano bottiglie sui marciapiedi, con i rissosi che molestano passanti e donne sole.
Controllo sul territorio, si chiamerebbe. Che non significa necessariamente individuare l’atto vandalico e punirlo in flagranza, ma più semplicemente fare opera di deterrenza. Dire: “occhio, io ci sono, sto girando per le strade, posso beccarti da un momento all’altro”. Non conosco i diktat di prefetture e ministeri sul come si decida la consistenza delle pattuglie (ogni tot d’abitanti? Di chilometri quadri?); non so se la polizia municipale possa fare turni di notte, e, se sì, quanto e quando le nostre finanze riescano a permettercelo. Quello che so è che se un numero sempre più consistente di delinquenti si prende la briga di dotarsi di attrezzi e andare per strada a scardinare cose, o si arma di voluminose bombolette spray, o addirittura di taniche di benzina, è perché ha la percezione di poter agire indisturbato per una certa fetta di tempo.
E francamente, l’idea che quei cinque ragazzini maldestri, trent’anni fa, abbiano pagato anche per loro, mi dà un po’ sui nervi. No, anzi: proprio assai.

1 giugno 2017 – © Riproduzione riservata
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