Prova a prendermi

[di Ernesto Giacomino]

È un classico: finite (o meglio, tamponate) le emergenze straordinarie tocca rifare i conti con le imbecillità ordinarie. Con quelle piaghette sociali che da sempre contraddistinguono l’andazzo civico della città: inosservanza delle regole, menefreghismo, vandalismo, maleducazione. 
Il tizio normale tolto dalla quarantena ritrova fiato gradualmente, si riabitua un tocchetto alla volta alla quotidianità: con garbo, calma, diffidenza, circospezione. Un certo tipo di battipagliese invece no: intimorito fino all’altro ieri da qualunque parvenza di volante e controllo in strada, fornito di otto tipi di autocertificazioni diverse anche solo per scendere a ritirare la posta dalla cassetta, attento dal balcone a redarguire violentemente qualunque essere animato gli transitasse sotto casa, una volta avuto un minimo d’accenno di via libera s’è invece sbracato di colpo ed è tornato a far danni. Un palloncino tirato al limite, che non appena tolto il dito dall’imbocco che gli strozzava l’aria s’è sgonfiato a razzo, impazzito e imprendibile, scaricando ovunque tutti i gas accumulati nei mesi.
Ed ecco che si ritorna alla normalità, allora. Anzi: com’è nel nostro dna, si va oltre. Rapidamente s’è passati da un obbligato stato di polizia a un inspiegabile permissivismo globale, in cui puoi avere una Battipaglia dr. Jekyll e una mr. Hyde a seconda di zone e fasce orarie. E non si parla solo di rispetto delle regole post-quarantena, ma del vivere civile in generale. La notte, per dire, è tornata a essere zona franca: via, città vuota, liberi tutti. Strade che dopo le undici diventano mini-circuiti di corse automobilistiche, con macchine che sfrecciano a velocità folli sia sulle nazionali che nei vicoli, con tanto di sgommate e testa coda, ed è solo un fortunatissimo caso (ripeto: solo quello) che non si sia fatto male ancora nessuno. O almeno, non seriamente. E ancora: sempre più cestini dei rifiuti divelti, saracinesche imbrattate, gradini e muretti ricolmi di vuoti di birra e bibite varie, spesso già rotti e taglienti. Col ritorno, in ciò, d’un evergreen di cui non si sentiva certamente il bisogno: le microdiscariche. Angoli cittadini (su tutti, nuovamente, il parcheggio a via Matteo Ripa) che una volta terminato il nobile e solidale “io resto a casa”, a furor di popolo e col favore delle tenebre sono indisturbatamente tornati cloache in cui sversare il peggio dell’immondizia che transita in certe case (e, soprattutto, in certi cervelli).
In realtà il dato triste è che qui, al solito, non c’è da accusare una moltitudine di anonimi imbrattatori, ma la solita entità astratta: la certezza dell’impunità. Perché resta surreale il fatto che in una città con oltre cinquantamila residenti continui a non esistere non dico un controllo capillare del territorio negli orari a rischio, ma quantomeno quel minimo di segnali forti che instillino nella mente del disturbatore seriale il dubbio di poter pagare, prima o poi, almeno lo zero virgola qualcosa per mille dei disagi che va causando.
Perché se c’è una cosa che abbiamo imparato, in questi tempi difficili, è che la gente, se sa di essere controllata, le regole le rispetta. E che se succede il contrario, quindi, la colpa non è solo di chi disubbidisce.

27 giugno 2020 – © Riproduzione riservata

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