Proprietà immutativa
[di Ernesto Giacomino]
Va detto che non si può accusare chissà chi: la raccolta dei malumori dei votanti come fase a monte di una campagna elettorale è al capitolo uno, primo paragrafo, di qualunque manuale del perfetto politico. Poi, da lì, presa buona nota di tutto, si sale sul palco e si snocciolano le intriganti promesse: “Volete più zucchero a velo sulle zuppette?”, “Sìììììì!”, “E noi faremo di più: dolci di solo zucchero a velo!”.
Come dire: per beccare il massimo consenso possibile devi tararti sui problemi spiccioli, quotidiani, sulle deiezioni canine pestate in strada e sulle panchine all’ombra per gli anziani; sulla reintroduzione delle mezze stagioni e la lotta contro la dermatite da contatto. Male che vada, insomma, sarai comunque ricordato dai posteri come colui che ha risolto il problema dei piccioni in piazza Conforti, e pazienza se frattanto c’è rimasto un buco in bilancio dell’estensione del Marsili.
La questione, però, diventa sensibilmente più complessa se, una volta saliti a Palazzo, le zuppette non solo non si riesce a farcirle come promesso, ma addirittura – per qualche motivo sicuramente valido ma sostanzialmente oscuro – paiono uscire dal forno anche più scondite di quando si girava per palchi.
Ché sicuramente, in questi tempi di mobilitazione cittadina per fatti ben più corposi (leggasi sito di compostaggio e sottostanti magagne), scagliarsi contro i dettagli appare – nella migliore delle ipotesi – un esercizio di demagogia o un “perdere i buoi e cercarne le corna”; eppure nei fatti anche quello diventa succo, contorno, tintinnio in stazione per l’arrivo del pericoloso treno in transito.
Le non-risposte su questioni elementari come i platani tagliati, i lampioni spenti nella stessa zona dove si vuole intensificare il transito pedonale (con picchi di eccesso di zelo come la chiusura full time della prima traversa di piazza Amendola), il poco condivisibile orario di ritiro di certa differenziata, lo stato esangue dell’asfalto dei vicoli, al di là delle vere ragioni che possano sottendere al disagio vengono diffusamente percepite come apatia, immobilismo, imbarazzo istituzionale.
Forse perché più rumorosa, ma ormai della politica locale pare voler emergere solo la facciata gossip, quella intenta a recriminare e polemizzare, a sfaldare e rinsaldare gruppi e maggioranze con l’instabilità di quello slime che impazza tra i giocattoli dei bambini. Mentre di qua, tra il popolo, è nuovamente scemato il sogno del fatidico rilancio economico e strutturale, ci si aspetterebbe almeno che qualcuno si distragga dalla zuffa e trovi tempo e danaro per garantire l’ordinario: accelerare la “liberazione” del parcheggio di via Plava, ad esempio (a tutt’oggi transennato per lavori in corso mai iniziati), o riaprire la canalizzazione per via Gonzaga all’incrocio tra via De Gasperi e viale della Libertà (strada sbarrata da due mesi senza un motivo apparente), o rimuovere le barriere architettoniche su certi accessi pubblici e marciapiedi, in pieno centro, che ci rispediscono in una dimensione sociale da dopoguerra.
“Il facile reso difficile attraverso l’inutile”, diceva qualcuno. E beh, per carità: nessuno crede che amministrare sia facile. Perlomeno, però, facciamo in modo che sia ancora utile. O no?