Primarie velenose

Anche a Battipaglia le primarie del Pd le vince Matteo Renzi.
Le percentuali non sono bulgare, diversamente da quanto accaduto in molti altri comuni del Salernitano, e rimangono pure parecchio al di sotto del punteggio nazionale. Su un totale di 899 votanti, l’ex premier s’è aggiudicato 475 preferenze: 52,8 percento. E all’ombra del Castelluccio si stravolgono pure le altre due posizioni del podio, con Michele Emiliano che raggiunge la bellezza di 232 voti (25,8 percento), mentre come fanalino di coda c’è Andrea Orlando, che riscuote 180 preferenze (20 percento). Il governatore della Puglia, dunque, ha tratto beneficio dal supporto del consigliere comunale Egidio Mirra, candidato con lui all’assemblea nazionale, e del gruppo che fa capo a Simone Valiante. Eppure gli uomini di Vincenzo De Luca, main sponsor di Renzi, hanno avuto la meglio. Dieci le schede nulle, due le bianche.
Nel giorno delle consultazioni interne, però, in casa dem ha tenuto banco il pasticcio dei tesseramenti. Gli iscritti al Pd che si sono recati alle urne sono 111. Aggiungendo pure i tesserati “congelati”, però, sarebbero stati molti di più. La commissione regionale di garanzia, presieduta da Donato Liguori, ha accettato il ricorso del segretario cittadino Davide Bruno in merito al boom dei tesseramenti: sono state ritenute valide, per ora, soltanto 187 tessere, delle quali 184 sono state sottoscritte dal numero uno del circolo battipagliese e 3 appartengono a militanti fuori sede. Congelate, appunto, le altre 290 card, in calce alle quali c’è soltanto la firma del segretario provinciale Nicola Landolfi.
Gli iscritti legittimati dai commissari partenopei non hanno dovuto sborsare i due euro di contributo. Per gli altri, invece, è stato vano esibire il cartellino: tutti hanno dovuto votare da simpatizzanti. Qualcuno, pur non rientrando nell’elenco dei 187, non ha pagato. È il caso di Nicola Oddati, che è comparso a Palazzo di Città, dove si tenevano le consultazioni, intorno alle 12.30. Insieme a lui, il numero uno del Comitato per Matteo Renzi, Gelsomino Megaro. L’ex assessore del Comune di Napoli, che poco più d’un anno fa fu sconfitto dal compianto Enrico Lanaro alle primarie per la scelta d’un candidato sindaco che federasse la coalizione di centrosinistra, s’è inalberato, chiedendo che lo stesso trattamento, quello d’esser riconosciuti come iscritti al partito, venisse riservato anche agli altri. Prima un battibecco col presidente di seggio, poi un confronto telefonico col numero uno della commissione regionale, durante il quale Oddati, da sempre iscritto al Pd, ha alzato la voce. Gelo tra il politico e Bruno: i due non si sono neanche salutati.
Ad ogni modo, il presidente di seggio ha fatto mettere a verbale che Oddati non ha pagato. Ed è stato messo nero su bianco pure che, alle primarie, hanno partecipato battipagliesi provenienti da «gruppi avversi»: al seggio, d’altronde, sono arrivati tutti i consiglieri d’opposizione che, alle amministrative del 2016, si candidarono sotto le insegne civiche di Gerardo Motta. L’imprenditore è arrivato a Palazzo di Città poco prima delle 13. Prima di lui, avevano votato Renato Vicinanza, Luisa Liguori, Alessio Cairone, che non ha pagato, figurando nell’elenco dei Giovani democratici, e Luigi D’Acampora. Ai seggi pure qualche ex sindaco: sono comparsi Alfredo Liguori, Bruno Mastrangelo e Vito Santese. E poi l’ex assessore Marco Onnembo e l’onorevole Roberto Napoli. «Il dispositivo regionale dimostra che il Pd è un partito sano e ha gli anticorpi per difendersi da storture e violazioni», ha detto Bruno. E su Oddati, che lo ha accusato d’aver portato avanti il tesseramento di nascosto, il segretario ha aggiunto: «È passato davanti al tavolino, ma non s’è fermato…».

5 maggio 2017 – © Riproduzione riservata
Facebooktwittermail