Pericolose resistenze

“Glielo diamo un po’ di antibiotico?”. Non so quante volte mi sono sentito rivolgere questa domanda nei miei 35 anni di professione. Nei periodi influenzali poi, quando imperversano le febbri a 40, diventa quasi un’ossessione. Spesso accade che i genitori, spaventati dalla febbre alta e persistente, somministrino l’antibiotico di propria iniziativa senza nemmeno chiedere o informare il pediatra. È opinione diffusa che l’antibiotico possa far passare prima la febbre, in realtà non serve assolutamente a nulla nelle infezioni sostenute da virus. L’80% delle malattie febbrili nei bambini sono di natura virale, solo il 20% sono dovute a batteri: gli antibiotici vanno utilizzati esclusivamente in questi secondi casi. L’uso sconsiderato di un’arma che ha rivoluzionato la medicina dell’ultimo secolo e ha contribuito all’aumento della sopravvivenza del genere umano sta incominciando a produrre i suoi effetti negativi. I batteri sono diventati sempre più resistenti agli antibiotici.
È di qualche settimana fa la notizia relativa all’allarme scattato negli Usa dopo la morte di una donna causata da un›infezione del “super batterio” Klebsiellapneumoniae, che ha resistito a ben 26 antibiotici diversi. Il caso è stato riferito dai Centers for Disease Control and Prevention statunitensi: la Klebsiella è un batterio che si diffonde soprattutto negli ospedali dove i batteri cattivi si “selezionano” più facilmente per la più frequente utilizzazione, in tali ambienti, di terapie antibiotiche nuove ed aggressive.
“L’aumento dell’antibiotico resistenza è un problema sanitario globale, tutti i governi lo considerano una delle maggiori sfide per la salute pubblica futura e sta raggiungendo livelli pericolosamente alti in ogni parte del mondo. L’antibiotico resistenza sta compromettendo la nostra capacità di trattare le malattie infettive e minando il progresso della medicina”, ha affermato Margaret Chan direttore generale dell’OMS. Considerando anche l’uso massiccio e indiscriminato che se ne fa negli allevamenti animali, negli ultimi dieci anni il consumo è cresciuto in media nei Paesi Ocse del 4%, in Italia del 6%. L’Italia è il quinto Paese in Europa per consumo di antibiotici e anche i dati OsMed del 2014 confermano l’uso inappropriato che se ne fa, in particolare nella cura delle infezioni respiratorie e dell’influenza. Sono soprattutto le nostre regioni meridionali a far registrare i consumi e la spesa maggiori. Proporzionalmente, sempre negli ultimi dieci anni, sono aumentati mediamente del 5% i livelli di antibiotico resistenza, attestandosi al 15% in 23 Paesi su 26 esaminati. In questa graduatoria l’Italia è terza, con antibiotico resistenza pari al 33-34% nel 2014; nel 2005 era esattamente la metà. Peggio di noi solo la Grecia e la Turchia. Nel nostro Paese, ogni anno, dal 7 al 10 per cento dei pazienti va incontro a un’infezione batterica multiresistente con migliaia di decessi. Le infezioni, soprattutto ospedaliere, colpiscono ogni anno circa 284.000 pazienti causando dai 4.500 ai 7.000 decessi. I costi sociali che ne derivano sono altissimi in termini di perdita di vite umane ma anche di produttività e di reddito. Pure i costi sanitari sono alti: gli ospedali spendono tra i 10.000 e i 40.000 Euro circa a paziente per il trattamento di infezioni da batteri antibiotico-resistenti.
Secondo recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i superbatteri saranno, nel 2050, la principale causa di morte. Le ultime stime parlano di 10 milioni di persone l’anno che potrebbero morire a livello globale a seguito di infezioni comuni (altro che meningite …), più di quelle che attualmente muoiono di tumore.
Perciò se nostro figlio ha un po’ febbre, riflettiamo prima di dargli “un po’ di antibiotico”.

10 febbraio 2017 – © Riproduzione riservata
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