Perdonare è possibile?

[di Daniela Landi – Psicologa]

Il dizionario Treccani definisce il verbo perdonare come: non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi possibile rivalsa, e annullando in sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno. Sembra un’azione difficile da compiere, sebbene nei contesti della cronaca sia proposta spesso. Sarà capitato a tutti, guardando in un telegiornale qualche drammatico accadimento, sentire il giornalista intervistare la vittima e chiedere: è disposta a perdonare?

Perché si chiede con tanta urgenza di perdonare? Può essere una richiesta fatta per placare l’ordine sociale e psicologico turbato dagli eventi? Rinunciando al risentimento e alla rappresaglia, si cerca forse di prospettare un miglioramento della situazione, sostituendo le emozioni negative con quelle positive e altruistiche.

Anche la psicologia sociale si è interessata all’argomento, riscontrando che, anche dopo azioni negative, siamo disposti a perdonare quando la persona che ha causato un danno mostra un comportamento migliore, al fine di tutelare le connessioni con gli altri. La nostra mente sembra sia stata strutturata per mantenere le relazioni sociali, necessarie alla sopravvivenza, anche quando le persone si comportano male.

Può essere questo anche l’approccio di alcune religioni che incoraggiano il perdono per chi ha subito un torto, cui è richiesto il coraggio e l’impegno di liberarsi dallo stato di risentimento per il passato e di proiettarsi verso un futuro più soddisfacente per tutti.

Partendo, quindi, dalla finalità evolutiva della psicologia sociale di condonare le condotte altrui che possono provocare un danno, per proseguire con quella religiosa che invita a perdonare, entrambe sembrano garantire gli effetti virtuosi del perdono, come dimostrazione di maturità e di forza. Chi perdona sembra capace di percorrere una strada elevata. 

A tal fine la strategia del perdono è molto apprezzata e incoraggiata, ma chi, in particolare in psicoterapia, si occupa di consapevolezza di sé e delle correnti sotterranee del linguaggio dell’inconscio sa che questo non è sempre possibile o, almeno, non può funzionare senza un percorso di consapevolezza ed elaborazione delle proprie emozioni. 

Bisogna stare attenti a utilizzare in modo precipitoso il perdono. Appare necessario considerare che perdonare supponga che ci sia dall’altra parte un perdonato, qualcuno che comunichi il proprio rimorso, che si sia scusato, disponibile a riconoscere ed eventualmente fare ammenda del male fatto. Il perdono precipitoso può evitare il senso di perdita, anche sociale, ma gli effetti psicologici del trauma, la rabbia, il dolore, il risentimento non sono guariti ma solo spostati a livello inconscio e da lì possono provocare degli effetti dannosi per la salute.

Nel setting della psicoterapia diventa, quindi, importante dare spazio a queste emozioni, riconoscerle e avviare, quando possibile, un processo di integrazione nella storia di vita dell’individuo. Probabilmente, solo attraversando il doloroso e difficile lavoro di accettazione dei sentimenti complicati che si accompagnano al percorso dell’esistenza, si può coltivare l’umanità, promuovendo una compassione che, con il tempo, può far maturare il perdono.

Nella foto: Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo, particolare

14 gennaio 2023 – © Riproduzione riservata

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