Pechino Express

[di Ernesto Giacomino]

Quindi ci risiamo. Il processo di smantellamento – o quantomeno d’indebolimento – dell’industria battipagliese non pare voler conoscere soste. Si cominciò un trentennio fa con le delocalizzazioni lampo e le inspiegabili chiusure di stabilimenti ancora in salute come quello della Peroni, o della Manuli. O della Superbox, per tenerci un attimino più sul locale. Magheggi di grafici e opportunità di mercato, trend e prospettive di crescita, manager incravattati che col puntatore laser su una lavagna decidevano di mandare famiglie sul lastrico per garantire uno zerovirgolatot per cento in più da distribuire agli azionisti. E ancora: la recente vicenda Treofan, mai realmente compresa: commesse acquisite e non avviate in lavorazione per autoprocurarsi uno strategico stato di difficoltà in vista di un’imminente svendita aziendale. O il destino della Paif, orgoglio cittadino ed esempio massimo della genialità dell’imprenditoria locale, la cui eccellenza aveva anche generato un prosperoso indotto di terzisti e produttori di accessori, sì da averci fatto ritenere per anni una piccola “capitale della plastica”. Come dire: alla scomparsa di quel marchietto inconfondibile sotto ogni bicchiere di carta – da Roma, a Tokyo, a New York – non ci abitueremo davvero mai.

Resiste ancora un caposaldo, però: la FOS, il fiore all’occhiello della new economy, l’avanguardia dell’evoluzione tecnologica nei sistemi di comunicazione. Coraggiosamente partita quando qui da noi la fibra ottica era ancora un termine astruso, misconosciuto: materia da microchirurgia oculistica, pensavamo, o una qualche resina costosa per occhiali alla moda. Nel frattempo ovunque, nel mondo – nelle case, sotto gli oceani, nei fianchi delle catene montuose – già si srotolavano milioni di chilometri di cavi partiti da quel manufatto futuristico di via Spineta. Circa trecento unità occupate a tutt’oggi, di cui un gran numero di battipagliesi: gente i cui stipendi hanno creato circolazione di moneta, spesa, vendite, conti in banca e mutui per case. L’ossatura d’un reddito fisso che, oltre a mantenere famiglie, nel suo piccolo immette comunque da anni, nel tessuto economico cittadino, la sua porzione di ricchezza e benessere.

Credevamo che all’Italia piacesse, tutto ciò. A loro, intendo: ai governanti, alle lobbies, alle corporates appaltatrici che scelgono i materiali. Scopriamo invece che, no, macché: un’azienda che paga regolarmente stipendi, contributi, ferie e straordinari, è comunque in errore: per i manager nostrani ha troppi costi, da cui il prezzo di vendita più alto di chi non si perde in tanti sofismi col personale. Vuoi mettere Cina e India, insomma: qualche spicciolo l’ora alla manodopera, scodelle di riso per tredicesima, ferie con villeggiatura garantita nella brandina sotto il banco lavoro, ed eccoti il prodotto concorrenziale perfetto. La qualità? E beh, vedremo, per ora basta che faccia il suo. E l’immoralità del venditore? Pure là, dai, non è che si può pretendere perfezione.

Insomma: settimane di trepidazione, in attesa d’un intervento serio del Governo, per imprenditori e padri di famiglia che per quarant’anni hanno creduto che per un buon fatturato servisse l’onestà. E invece, guarda un po’, bastava l’ingordigia.

18 novembre 2023 – © riproduzione riservata

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