Parliamo di antibiotici

[di Fausto Bolinesi – medico di famiglia]

La casuale scoperta di Fleming nel 1928 di una sostanza, che lui chiamò penicillina, prodotta da una muffa che impediva la crescita dei batteri, segna l’inizio dell’era degli antibiotici.  Questi hanno drasticamente ridotto la morbilità e la mortalità delle malattie infettive, ma altrettanto drasticamente il loro abuso ne sta riducendo l’efficacia. Nati per curare le infezioni batteriche, sono diventati la classe di farmaci più e male utilizzata. Contro i virus, infatti, sono completamente inefficaci, eppure sono prescritti in più della metà delle infezioni virali dell’apparato respiratorio. Riferendosi alle caratteristiche, un antibiotico viene etichettato come ad “ampio spettro”, quando è efficace su un’ampia varietà di batteri, ma tale proprietà aumenta la possibilità di creare le cosiddette resistenze batteriche. Queste si verificano per varie cause, tra le quali la selezione di ceppi resistenti quando si usano troppo e male nell’uomo, e in zootecnia da quando si è scoperto che l’aggiunta di piccole quantità di antibiotici al mangime velocizza l’accrescimento degli animali. Dal 2006 questa pratica è comunque vietata dalla legge e speriamo anche dalla coscienza degli allevatori. 

Gli antibiotici sono eliminati dall’organismo soprattutto attraverso i reni e in parte anche il fegato, per cui in caso di insufficienza renale o epatica una ridotta eliminazione può provocare il loro accumulo nel sangue e quindi effetti tossici, anche se per fortuna il range terapeutico,cioè la soglia al di sotto della quale non sono efficaci e quella al di sopra della quale sono tossici, è abbastanza ampio. È intuitivo che l’assorbimento degli antibiotici iniettati per via endovenosa sia pari al 100%, e sia variabile, ma comunque minore, quando vengono assunti per via orale. Il raggiungimento e il mantenimento del range terapeutico nell’organo o tessuto che si intende curare dipendono anche dalla loro localizzazione e composizione: ci sono organi e tessuti nei quali gli antibiotici penetrano con difficoltà per cui è necessario usare dosaggi più alti. La loro concentrazione nel sito di infezione, infatti, dovrebbe essere sempre superiore a quella minima efficace, anche se l’efficacia di alcuni è soprattutto tempo-dipendente, mentre di altri è concentrazione-dipendente. In altre parole, per alcuni antibiotici ha importanza soprattutto il tempo con il quale sono a contatto con i batteri, mentre per altri è più importante che siano presenti in quantità massiccia. Si capisce, quindi, l’importanza di rispettare i dosaggi giornalieri tenendo conto della emivita dell’antibiotico, cioè del tempo necessario a che la quantità somministrata si dimezzi. A titolo di esempio, l’amoxicillina, che ha una emivita di circa un’ora e mezza, presuppone che la dose giornaliera sia frazionata e assunta ogni otto ore, mentre basta assumere solo una volta al giorno l’azitromicina che ha una emivita di circa settanta ore.

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