Pane, amore e amnesia
[di Ernesto Giacomino]
E niente, le zaffate nostalgiche riguardo alla “Battipaglia che fu” si confermano essere come il trench, il doppiopetto o i jeans a zampa d’elefante: ogni tanto – ciclicamente, inesorabilmente – tornano di moda. Basta un fatterello di cronaca locale particolarmente chiassoso e zac, eccoteli la: come obbedendo a un passaparola muto, un virus di pensiero, un’ondata telepatica, di botto ti ritrovi ovunque scritti, odi e riflessioni di pseudostorici da bar e filosofi a mezzo servizio. Tema: il candidato attui una narrazione strappalacrime immaginando un giardino felice, un “Eden 2.0” abbrutito e smantellato da decenni d’ignavia, malapolitica e assenza di controlli. Svolgimento: uh signora mia, pensare che qua era tutta campagna, che sarà mai successo, tutta colpa di vaccini e clandestini.
Per cui: mettetevi comodi, va’. Seduti, rilassati. Che vi racconto l’ennesima verità sconvolgente dopo quella che Lady Oscar era maschio davvero ed Elvis s’è fatto ibernare in un’enoteca a Montepulciano.
Nella stessa “Battipaglia che fu” di cui oggi si celebra praticamente tutto, dal bar Venezia al “formaggiaro” di piazza della Repubblica, passando per “Cimmenera” e cinema Ting Ting, c’erano le sparatorie. E le esecuzioni in strada, l’eroina a fiumi, le larve di ragazzini in overdose sulle panchine. C’erano le bombe nei negozi, quelle vere. Quelle che nel bel mezzo del sonno, alle due o tre di notte, con un boato inumano ti sputavano in stanza i vetri della tua stessa finestra perché esplose a trenta metri da casa tua.
Per dire: a Carnevale, nella “Batt-ipaglia che fu”, le ragazze non potevano uscire sole di casa. In strada venivano puntualmente inseguite da orde di imbecilli che le aggredivano a randellate. Impuniti e felici, loro, tanto era tutto un gioco. Anche se quegli stessi manganelli – messi in vendita finti, di plastica vuota – loro li riempivano con segatura o carta bagnata.
Nella “Battipaglia che fu” è stata frequentata per decenni una scuola elementare con l’ultimo piano sostanzialmente abusivo, elevato in allegria su una struttura originaria datata 1931. Ce ne si è accorti solo settant’anni dopo, nel 2002, con la tragedia della scuola di San Giuliano di Puglia. Spiegandola proprio per bene: un buon mezzo secolo in cui aperture e chiusure dei cancelli hanno decretato, ogni giorno, inizio e fine d’una mancata strage.
La tanto amata e decantata stazione, poi: per lo più squallido teatro, nella “Battipaglia che fu”, di risse quotidiane fra galletti locali e militari di Persano in libera uscita; con tangibile e prolifico contorno di contrabbando, spaccio e prostituzione. Come dire che il nugolo di disadattati ubriachi di oggi nello slargo del viale ha preso semplicemente il posto del nugolo di disadattati ubriachi di ieri sulle panche del piazzale. La differenza è che quelli di ieri erano battipagliesi e pareva bastasse starne alla larga; quelli di oggi sono stranieri e quindi s’invocano Digos, Swat, Sisde e Del Debbio (il più risoluto di tutti).
Insomma, lo dico sempre: la nostalgia è un anti-sentimento con l’inganno dell’affezione. Dovrebbe limitarsi a uno sguardo benevolo sul passato; invece lo stravolge e lo reinventa, ricolorandolo a seconda dei desideri del tuo inconscio. E facendoti dimenticare che eri tu, forse – e non i luoghi – a essere migliore.
31 maggio 2025 – © riproduzione riservata


