Non chiudete quella porta
[di Ernesto Giacomino]
E quindi ci risiamo. A una manciata di mesi dai lucchetti all’ex FOS – solo ultima di una lunga infilata di chiusure di eccellenze locali – traballa pure il futuro della Cooper Standard. Che teoricamente non avrebbe mai dovuto traballare, giacché operante nell’indotto del mercato automobilistico: un settore che, nonostante certe flessioni cicliche e fisiologiche (spacciate da trent’anni per rovinosi crolli di produzione solo per ammansire i sindacati e bussare all’incentivazione statale) tiene botta eccome. Oppure questo famoso italiano su tre a cui arriverà la macchina nuova entro i prossimi dodici mesi (è un fatto certo, eh) non ha intenzione di pagarla, ma di rubarla sfasciando la vetrina della concessionaria: bye bye baby, la fattura mandamela sul cassetto fiscale.
Probabilmente c’è un piano preciso, che dire. Una specie di strategia di deindustrializzazione totale di Battipaglia, una qualche manovra “dietro le quinte” d’una potente setta di coloni nostalgici che vogliono il ritorno all’economia squisitamente agraria d’inizio secolo scorso. Che ne so: gli Amish-paglia, per dire. O il Ku-mprese kux klan.
Il problema resta quello, alla fine. Sempre meno commesse perché il committente si rivolge altrove per risparmiare: e non perché ci vada pelo pelo con le spese, semplicemente per guadagnare di più. In marketing, praticamente, si chiamerebbe “sfunno”: non m’accontento di un buon utile sul fatturato perché pretendo la performance epocale, il CdA che s’alza in piedi ad applaudirmi, la tavola imbandita oltre quello che posso umanamente mangiare.
E siccome grosso modo il prezzo dei materiali è lo stesso ovunque, la discriminante resta il costo del lavoro. Quindi vado ad appaltare in Cina, in India, nell’Europa dell’Est, in qualunque posto in cui i dipendenti non li paghino più d’una manata di spiccioli e qualche pacca sulla spalla. Alimentando sfruttamento, povertà, disagio sociale. E tirannia, e flussi migratori ingovernabili. Ma che vuoi che me ne possa mai fregare, miliardari e affamati esistono dall’inizio dei tempi, mica ai mali biblici ci posso rimediare io?
Che poi, quest’elemosinare manodopera a basso costo in giro per il mondo comincia francamente a stancare. Gli attribuirei un senso (orrido e incondivisibile, ma almeno l’avrebbe) se qua da noi i dipendenti li pagassero a peso d’oro: e ci dispiace, quattromila euro netti in busta non me li posso più permettere, poi il bonus annuale per la crociera alle Maldive, non possiamo accordarci per un weekend a Forte dei Marmi? Invece no, nel grosso delle realtà industriali battipagliesi ci eleviamo a stento dal minimo contrattuale dei nove euro lordi l’ora, mediamente cinquanta euro netti al giorno, qualche centesimo in più lo si sfanga tra straordinari e turni di notte. Ma davvero vi pesa tanto, è così deleterio e distruttivo per la vostra visione economica, che un dipendente, coi vostri soldi, ci sfami giusto giusto la famiglia e neanche per tutto il mese? Davvero reputate così conveniente tagliare costi per togliere dalle tasche della gente, e mettere nelle vostre, gli stessi soldi con cui loro comprerebbero i prodotti che fabbricate?
Il dubbio è sempre uno, allora: se si tratti davvero di strategia e opportunismo, o solo della conseguenza d’un triste – e devastante – atteggiamento di sufficienza.
11 ottobre 2025 – © riproduzione riservata





