Non capisco e non mi adeguo

[di Francesco Bonito]


La giunta guidata dalla sindaca Francese ha perso quattro dei sei assessori: Tozzi, Napoli, Gioia e Toriello si sono dimessi; anche se in casi simili è sempre labile la differenza tra andare via ed essere messi alla porta. Era nell’aria, si dirà. Anche nell’ultima intervista rilasciata due settimane fa al nostro giornale, Cecilia Francese aveva ribadito che il “rimpasto” era imminente, perché il contributo di qualche assessore era giudicato insoddisfacente e, soprattutto, perché la compagine assessoriale non rispecchiava più gli equilibri politici espressi dal consiglio comunale. Normale, si dirà: così funziona la politica. Ministri e assessori vengono indicati dai partiti o dai movimenti in ragione del peso elettorale conquistato. Lo sentiamo dire quotidianamente da tanti anni, lo ascoltiamo nei telegiornali, lo ripetono i leader politici nazionali, lo danno per scontato giornalisti e commentatori. Questa prassi esiziale si è imposta anche negli enti locali, dove il peso dei partiti politici nazionali sulla vita amministrativa è quasi impalpabile, soprattutto dopo la disintegrazione delle tradizionali formazioni partitiche novecentesche. Anche nei comuni, perciò, sempre più spesso i singoli consiglieri o esigui gruppi consiliari rivendicano e ottengono la cosiddetta “visibilità” nella squadra di governo, con situazioni che talvolta sfiorano il grottesco. E non parlo dell’amministrazione corrente, ma di tutte quelle che si sono succedute negli ultimi vent’anni. Qualcuno ricorderà gli “assessori interinali” della giunta Santomauro (quelli celebrati dalla nostra copertina con le mele), più di una trentina negli anni in cui si codificò la regola aurea del due per uno: ogni coppia di consiglieri aveva diritto a un assessore. Così è stato e così temo sarà in futuro. Così funziona la politica, si dirà. E a forza di ripeterlo hanno convinto quasi tutti che sia giusto o, almeno, inevitabile. Quasi tutti. Spero, infatti, di non essere rimasto l’unico a contestare questo metodo, e trovo doveroso dichiararlo pubblicamente. Il compianto Giovanni Sartori, illustre scienziato della politica scomparso lo scorso anno, ha scritto: “Chi teme di dire quello che pensa, finisce per non pensare quel che non può dire”; niente di più vero, in qualunque campo, ma soprattutto in politica. Perciò, per scongiurare questo pericolo, io lo scrivo, per non smettere di indignarmi e perché penso che sia un’aberrazione. I ministri, così come gli assessori, dovrebbero essere scelti per la capacità, per la competenza, per l’onestà, per lo spirito di servizio verso il Paese o verso la propria comunità. Questi dovrebbero essere i criteri della selezione e non altri.
Questa modesta riflessione non ha nulla a che vedere col giudizio sulle persone nominate nel passato né su quelle che lo saranno in futuro. Non so se i quattro assessori uscenti siano stati bravi o scarsi, non so se chi li sostituirà farà meglio: non è questo in discussione. Si tratta d’altro: la scelta è fra tacere e implicitamente dichiararsi consenzienti, oppure dissentire rispetto a una degenerazione della corretta prassi politica delle istituzioni democratiche.
Ebbene, pur consapevole che l’opinione espressa non sposterà di un centimetro il corso degli eventi locali e nazionali, io ritengo di dover ricordare a me stesso e ribadire a chi legge che non capisco, non concordo e non mi adeguo.

22 giugno 2018 – © riproduzione riservata
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