Neri per sempre

[di Ernesto Giacomino]

A volte ritornano. Più spesso, non se ne sono mai andati. I pregiudizi paiono avvolgere Battipaglia come quel famoso anticiclone delle Azzorre che non ci molla mai, dodici mesi l’anno: ora più lontano, ora più vicino, ma sempre lì presente a minacciare, a seconda dei tempi, arsure o glaciazioni. Ugualmente, qui da noi, quando c’è da individuare colpevoli o responsabili per qualunque stortura, sulla bocca dei soliti parolai da sagra dell’uva viene subito comoda quella parola là: extracomunitari. Causa scatenante di tutto, loro: suocere impiccione, mogli obese, assegni protestati, unghie incarnite, sconfitte ai mondiali.

Vivo qui da quando sono nato. Conosco bene le zone che per anni sono state teatro indisturbato di spaccio. Conosco i volti di galeotti che hanno rapinato, scippato e talvolta ucciso. Conosco gli ubriaconi molesti e quelli allegri, i pazzi con cui puoi discorrere e quelli da cui stare alla larga. Conosco il passato di questa città, le risse a sprangate di ferro tra gestori di negozi concorrenti, la violenza tra fascisti e comunisti, le bombe del racket, le sparatorie di camorra, gli incendi dolosi, le follie degli ultras, le retate dei falchi. Conosco folclore e degrado di zone mai state sicure: vicoli al margine, quartieri occupati, gli scaloni del sottopasso, il piazzale davanti la ferrovia.

Vivo qui da quarantaquattro anni, e gli extracomunitari ci sono arrivati al massimo da venti. La violenza che ho visto, in queste strade, è sempre stata a produzione squisitamente locale. Non si stava meglio, quando si stava peggio. Si stava peggio, punto.

Invece, no. In assenza d’altro di cui blaterare, c’è il solito partitucolo estremista (poco più di un circolo di caccia e pesca, in verità, col cruccio di doversi far notare) che ha saputo inventarsi una Battipaglia-ieri perfettamente vivibile, tutti amici e tutti fratelli, in cui ci si amava e abbracciava sotto il canto degli usignoli, e una Battipaglia-oggi sommersa dal degrado, in cui l’insicurezza e il disagio sociale rendono sconsigliabile perfino affacciarsi sotto casa per una puntatina dal salumiere. La colpa? Degli extracomunitari, è ovvio. Basta che un paio di loro, una volta a settimana, si facciano pescare ubriachi o rissosi – come le decine di giovinastri nostrani che quotidianamente appestano le sere battipagliesi – ed ecco ululare lo xenofobo di turno: fermateli, annientateli, vaporizzateli. Stanno “proliferando” (uhmamma, non è una battuta, l’hanno detto davvero).

Perché poi si sa che gli immigrati sono qui per invaderci, no? Paiono disorientati e scollegati tra loro, invece hanno un piano di conquista studiato nei minimi dettagli. Prendi il cous cous, per dire: davvero ci credete, che sia un semplice alimento? Nossignori, è un’arma chimica. Non tanto quando la si ingerisce, ovviamente, ma quando la si digerisce. E il kebab? Non fatevi ammaliare dalle carni speziate, è una trovata come un’altra per ammazzarci a vicenda con l’alitosi.
O, quantomeno, col colesterolo.

In realtà, questi ragazzetti che aprono bocca giusto per un ricambio di fiato non sanno com’era, il piazzale davanti la stazione ferroviaria, prima che arrivassero loro: uguale. Anzi no: peggio. C’erano anche prostitute e papponi, ronde di guapperia, vecchi viziosi adescatori di militari (e, potendo, di ragazzini). Era tutta gente nata e “pasciuta” qui, made in Battipaglia, cari i miei razzisti.

Per cui, dopo varie guerre perse e un’Europa intera mandata allo sfascio, sarebbe un po’ il caso di cambiare disco, no?

14 settembre 2012 – © riproduzione riservata

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