Nel fumo dell’ultima sigaretta
[di Crescenzo Marino]
L’appuntamento era per le diciannove a piazza Madonnina, vicino all’edicola dei giornali. Come da abitudine arrivai un quarto d’ora prima e, nell’attesa, diedi uno sguardo alle copertine patinate delle numerose riviste esposte in bella vista per meglio catturare l’attenzione dei passanti. Donatella arrivò puntuale insieme al mio, oramai solito, stupore nel rivederla. Outfit total black: ankle boots, pantaloni svasati, maglia cropped, giubbotto corto e una Jacquemus Le Grand Chiquito a tracolla. Bella più che mai, era uno spettacolo mozzafiato per chi la guardava. Faceva più freddo del solito quella sera di inizio dicembre e dopo una breve passeggiata da via Mazzini a via Roma per vedere le luccicanti vetrine dei negozi, già addobbate per il santo Natale, decidemmo di prendere la macchina per ripararci dalla pioggia che, improvvisa, ci aveva malvolentieri sorpresi.
Girammo per un bel po’, senza una meta precisa da un quartiere all’altro della città, per poi fermarci nel buio del grande parcheggio dello stadio Pastena, nel mentre Lucio Battisti, da radio Castelluccio, cantava “Emozioni” e noi fumavamo, dividendocela, l’ennesima chesterfield rossa. Donatella si legava e si scioglieva i capelli in continuazione e rideva, rideva con un sorriso accattivante e intenso che permetteva alla sua anima di respirare e al suo cuore di dilatarsi. Le sue spalle larghe, rifugio quando si vuol posare il capo, apparivano e scomparivano fra una montagna di riccioli morbidi, color biondo cenere, che profumavano di primavera. E parlava, parlava di lei, di noi, del futuro che ci attendeva nel mentre i suoi occhi grandi, alla luce di quei suoi vaghi pensieri, ipnotizzavano i miei sguardi. La pioggia sottile, ma sempre più intensa, rigava i vetri e sembrava accompagnare a tempo le note delle canzoni alla radio. Quel sabato sera facemmo l’amore per la prima volta. Avevamo voglia di perderci in un altrove diverso e sconosciuto, graffiarci aggrappandoci l’uno all’altra come se ci trovassimo sul bordo di un precipizio, e alla fine lasciarci cadere giù nell’abisso più profondo del piacere. Poi rimanemmo in silenzio, non so per quanto tempo, in un abbraccio, il posto sicuro dove ci sentivamo protetti, dove niente e nessuno poteva turbarci, ferirci, scoprirci. Alla radio il deejay, come se ci conoscesse e sapesse di noi, passava, incredibilmente, le canzoni che volevamo ascoltare. Accesi, senza renderme conto, l’ultima sigaretta rimasta nel pacchetto, il suo fumo saliva verso l’alto e zigzagando disegnava onde immaginarie a ricordarmi la meraviglia del mare in tempesta, proprio com’erano i nostri sensi in quel momento di semplice, vera, pura, e forse irripetibile, felicità.
14 gennaio 2023 – © riproduzione riservata