Musica, ma esco

[di Ernesto Giacomino]

Dice che durante la commemorazione del 4 novembre, a Battipaglia, il gruppo musicale popolare ingaggiato per l’occasione ha cantato “O surdato ‘nnammurato” e la gente presente s’è scandalizzata. “Era fuori luogo, troppo pacchiana” hanno detto. “Stonava con la sacralità del momento”.

Boh. Io non c’ero, non ero immerso nell’atmosfera rievocativa, non so che effetto mi avrebbe fatto ascoltarla (per avere un’opinione, il più delle volte, oltre a sapere i fatti devi anche trovarti nel contesto). Però così, a crudo, mi fa specie che un caposaldo della musica napoletana nel mondo, scritto proprio nel 1915, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale (non da Gigione o Jimmy Quacquero, ma da due eccellenze artistiche come il poeta Aniello Califano e il maestro Enrico Cannio) in onore delle migliaia di giovani conterranei che partivano per il fronte abbandonando gli affetti più cari, di colpo possa diventare “pacchiano” e “fuori luogo” solo perché s’è scoperto un manuale del perfetto polemista che – così, per un improvviso desiderio di bon ton – obbligherebbe a metterla sul funereo. Come dire: fa niente se per l’occasione sghignazzo o giochicchio al cellulare, l’importante è che ascolti solo brani in tinta con l’evento.

La realtà è che la scelta, almeno dal punto di vista dell’aderenza al contesto emotivo, non pare fare una grinza. Nelle intenzioni degli autori quello era un saluto, un grazie, un enorme e affettuoso abbraccio popolare a plotoni di ragazzini che si immolavano per la libertà. Davvero è apparso così blasfemo e irriverente riproporlo, quell’abbraccio, nel celebrare il centenario del loro sacrificio?

D’altra parte, si sta comunque parlando di una canzone d’addio e di consapevolezza di non ritorno (“sì stata ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’urdemo sarraje pe’ me” non è un giuramento di castità, fidatevi), e che la si canti “a squarciagola” (altra pecca lamentata dai puristi dell’etichetta) dipende dal fatto che il testo è musicato su una sequenza armonica grassa, altisonante, tipica delle opere a tema militare. Qualcuno definirebbe mai pacchiana e fuori luogo la “Canzone del Piave” durante le altre celebrazioni che riguardano le Forze Armate? O la corsa dei bersaglieri nelle manifestazioni solenni in cui intervengono? O le note gioviali e trionfalistiche della loro marcia? E anche l’inno di Mameli: qualcuno lo criticherebbe mai come troppo brioso, specie in certe occasioni in cui magari necessiterebbe un po’ più di sobrietà musicale?

Ripeto: non lo so, come mi sarebbe parsa la scelta di quella canzone, se fossi stato lì. Ma di certo non mi sarei preoccupato della facciata, della congruità tra evento e sentimento, del “sembra bello o brutto o neutro”. L’avrei valutata in termine di pura sostanza, cioè di efficacia “sonora” rispetto al contesto. Solo questo, punto. Senza farne questioni di principio e mettere in mezzo bisticci ideologici. Mi sarei chiesto semplicemente se a loro sarebbe piaciuto, essere celebrati così, con un gruppo di persone a ricordare “a squarciagola” i loro ultimi pensieri, il loro addio doloroso. E le loro ultime parole d’amore, prima di salire su un camion in partenza per l’ignoto.

9 novembre 2018 – © riproduzione riservata
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