Ministero degli inferni

[di Ernesto Giacomino]

Settimana tosta, nevvero. Tra forconi e furboni, scuse e accuse, grillini e grilletti, menestrelli e minestroni, c’è stato di che spendere la tredicesima (per i pochi fortunati che ancora ce l’hanno) tutta di psicanalisi. Poco da farci: lascia stare se condivisibile o meno, ma il disordine sociale comunque ti spiazza, ha sempre un retrogusto di degenerazione, arriva comunque a privarti di quelle poche certezze che a stento riuscivi a conservare. Soprattutto, a livello mentale, erge quelle barricate antiche tra buoni e cattivi, pro e contro, torti e ragioni.

Quel fatto degli agenti accorsi a controllare le folle, per dire: è bastato che qualcuno di loro si togliesse il casco, in questa o quella città, e giù polemiche sulle motivazioni. Si sono associati alla protesta, diceva qualcuno, e giù con applausi e inni da stadio; e altri: nossignori, è la prassi, l’assetto antisommossa va ordinato solo in caso di pericolo; e altri ancora: macché, il terzo da sinistra l’ho visto che era appena stato dal barbiere, s’è tolto il casco solo per darsi una ripassata di gel.

Ecco, per l’appunto: in alcuni momenti è parso facesse più notizia questo che tutto il cataclisma che succedeva intorno. E il fatto concreto che ne è uscito fuori, ancora una volta, è questo dito puntato – più che sul potenziale di scelleratezza e distruzione d’un tot di gente in movimento, e non sempre con ottime intenzioni – sul comportamento e la tenuta emotiva delle forze dell’ordine. Neanche non fossimo, noi, un popolo unico che fa mestieri diversi, ma due branche ben distinte di individui: controllori contro i controllati, indifesi contro disarmati, i “noi” di qua contro i “loro” di là. La sottocultura insistente della diversità a tutti i costi, che in carenza di motivazioni solide si appella alle discriminanti più improbabili: lavoro, rione, discount per la spesa, numero di scarpe.

In tutto questo bailamme, allora, non può che far sorridere e riconciliare col mondo un episodio come quello di qualche giorno fa, che ha visto una gazzella dei carabinieri di Battipaglia sfrecciare da una farmacia cittadina per andare a consegnare un farmaco raro all’ospedale di Vallo della Lucania. Più di settanta chilometri a sirene spiegate, macinati in una ventina di minuti, mettendo a repentaglio la vita dei militari stessi unicamente per salvarne un’altra: quella di un paziente che, senza la somministrazione di quel medicinale, sarebbe deceduto in pochi minuti.

Una corsa contro il tempo che sa di film a lieto fine; episodi di rara nobiltà d’animo che non siamo più abituati a sentire, in un quotidiano in cui gli unici lampeggianti che pretendono precedenza in strada sono al massimo quelli delle auto blu dei politichetti locali o loro mentori discesi da Montecitorio per comizi e avalli elettorali. Una rinfrescata di memoria sulla fortuna di vivere in un sistema che garantisce – pur con tutte le debolezze e la fallibilità derivanti dall’avere una natura squisitamente umana – un tot di persone messe in giro a salvarci la vita.

Insomma: cose che fa sempre bene sentire, di questi tempi amari. Specie, poi, con l’approssimarsi di festività straordinariamente difficili come quelle che ci aspettano: non tanto per il solito (e forse stantio, dai) discorso economico sulla crisi e la famigerata terza settimana, quanto per l’acredine e il rancore che abbiamo via via assurto a vaccino contro l’ottimismo.

Con mio più caro e sentito buon Natale, allora, vi arrivi anche l’augurio di poter finalmente invertire rotta.

19 dicembre 2013 – © riproduzione riservata

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