Mi sono innamorato di chi?

[di Daniela Landi – psicologa]

Rispetto alle considerazioni sull’amore di poeti, scrittori e cantori nel corso dei secoli, con l’avvento della riflessione psicologica, esplorando i motivi inconsci di questo fenomeno così profondo e capace di coinvolgere e trasformare la vita degli individui, la prospettiva è profondamente cambiata.

Per Sigmund Freud l’amore per l’altro non è che un’illusione: amiamo qualcuno non per quello che è realmente ma per quello che vorremmo fosse, perché possiede delle qualità che ci mancano e che vorremmo avere noi. Si sceglie di amare chi rappresenta l’immagine ideale del proprio io, come risultato, anche, dell’eredità relativa alle identificazioni con i genitori.

La psicologia analitica di Jung si riferisce all’innamoramento come a un sentimento caratterizzato da pulsioni e comportamenti molto intensi, che implicano una componente proiettiva. Tutto ciò che sentiamo mancarci viene inconsciamente proiettato sulla persona di cui ci innamoriamo, nella quale vediamo aspetti personali non riconosciuti, parti scisse di noi stessi che abbiamo rimosso e che ci sono riportate indietro. Analizzandole, possiamo recuperare un frammento della nostra personalità, comprendendo che lungo il cammino della vita, spesso, non incontriamo che noi stessi rappresentati dagli altri.

Come scrive Fernando Pessoa ne Il libro dell’inquietudine: “Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto, insomma noi stessi, che amiamo”.

Una possibile risposta alla domanda “Chi amiamo realmente?”, può essere: “Amiamo solo un noi stessi ideale”? Possibile che l’amato/a scompaia nella sua essenza perché non si è in grado di riconoscerlo nella sua alterità e autenticità? 

Massimo Recalcati in Non è più come prima afferma che perché sia possibile questo sguardo occorre “rompere lo schema narcisistico… amare, ammirare, mirare al mondo dell’altro, apprendere che esiste un altro mondo. […] L’incontro d’amore… turba la nostra identità, la obbliga a contaminarsi”. Occorre amare la persona che incontriamo nella sua particolarità che la rende unica, accettare la sua parte misteriosa, irraggiungibile e imprevedibile, e la sua assoluta libertà. 

Anche Umberto Galimberti ne Le cose dell’amore afferma che “nell’amore non dovrebbe esserci una ricerca di sé, ma dell’altro”; attraverso la relazione si diventa qualcosa di diverso rispetto a ciò che si era prima dell’incontro. “Per amare bisogna lasciarsi fecondare dalla follia dell’altro”, quindi rischiare, accogliere il suo mondo e la sua complessità, trasformandosi a vicenda. 

Come confrontarsi perché avvenga questa trasformazione? Sant’Agostino ha insegnato: “Ama e fai ciò che vuoi”; l’amore come dono di sé che accresce innanzitutto chi lo compie, che non è consumo dell’altro, ma donazione all’altro di quello che si è capaci di donare, e fare quello che si vuole nella dimensione assoluta della donazione. 

Amare sembrerebbe richiedere un grande impegno, innanzitutto su sé stessi.

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