Maggioranza Francese: crisi o scaramuccia?

Longo, Zaccaria, Cappuccio, Cappelli, Salvatore, Marino e Amendola chiedono l’azzeramento della giunta. Per risposta, la sindaca minaccia le dimissioni

Dimissioni. Cecilia Francese, scossa, le mette all’ordine del giorno d’un vertice di maggioranza fissato per il venerdì sera. Poi ritratta, annulla l’incontro e chiama il consiglio alla prova del nove: il civico consesso tornerà in aula il 30 ottobre. «Se ci sono le condizioni si va avanti», scrive la sindaca ai suoi. Due spade pendono sul suo capo: da un lato, la confederazione dei sette frondisti – si chiamano i “pattisti” – che con un documento politico invoca l’azzeramento della giunta, e quei debiti fuori bilancio contratti con Alba che non convincono molti esponenti consiliari. È il day after. Ci si risveglia così dopo il giovedì del consiglio di fuoco, con la sindaca che per la prima volta in sedici mesi vede respinta la propria linea. A mezzanotte, in un’aula rimasta deserta, passa la proposta di Stefano Romano di Con Cecilia: la discussione sul riconoscimento di quei debiti da 320mila euro, molti dei quali risalenti al 2015, da versare sul conto della partecipata, viene rinviata malgrado il diktat dell’endocrinologa. A nulla sono valsi gli appelli della Francese: «È la vostra sindaca a chiedervi di votarli adesso». La travagliata seduta consiliare lascia pesanti strascichi: «Così Alba chiude», aveva detto stizzita ai suoi la Francese dopo che il presidente del consiglio Franco Falcone aveva sciolto la seduta. E il giorno dopo, sui display degli smartphone dei consiglieri, compare un laconico messaggio della prima cittadina, che minaccia le dimissioni. «Stasera ci sarà una riunione di maggioranza – si legge – e all’ordine del giorno ci saranno le dimissioni del sindaco e una lettera alla Corte dei Conti, attraverso la quale declino ogni responsabilità per il riconoscimento dei debiti portati due volte in consiglio comunale, con il rifiuto dell’approvazione». La sindaca è infuriata, ma non con Romano e gli altri che han votato la proposta da lei osteggiata: parlando con la stampa, si mostra comprensiva nei confronti d’una parte. «È stato un gioco di forza tra i consiglieri che rispondono a me, i miei soldati, e qualcun altro, visto che già in aula si parlava del documento politico firmato dagli altri». E gli “altri” non stanno all’opposizione: sono Valerio Longo e Gerardo Zaccaria di Forza Italia, gli indipendenti Angelo Cappelli, Roberto Cappuccio e Giuseppe Salvatore e Franco Marino e Bruno Amendola di Rivoluzione Cristiana. I “pattisti”, la confederazione. Longo, Cappelli e Salvatore, quel documento, lo consegnano alla Francese alle 13 di ieri. Nella stanza, anche Falcone e Pietro Cerullo di Etica. La confederazione invoca un programma di rilancio in 9 punti: «Coinvolgimento dei gruppi consiliari, più stretta collaborazione fra il sindaco, il consiglio e le forze politiche, lo sblocco di mutui, fondi e progetti di finanza, l’accelerazione dell’iter del Puc, il rilancio di Alba, politiche giovanili, una burocrazia che favorisca l’imprenditoria, misure per la tutela dell’ambiente e un nuovo assetto politico-amministrativo, con una rivisitazione dei profili della giunta». Cappelli, Cappuccio e Salvatore fanno sapere: «Vogliamo superare le difficoltà e garantire stabilità al Comune. L’autonomia di ogni gruppo resta, ma riteniamo che una condivisione larga sui contenuti sia fondamentale. Dobbiamo riflettere seriamente». E l’incontro irrigidisce ulteriormente le posizioni della prima cittadina e dell’altra parte: «Fanno così perché qualcuno deve posizionare assessori che non rispondano a me ma alle esigenze di qualche persona, e si fanno rappresentare da questa espressione della nuova politica che si chiama Fernando Zara», dice sarcastica. E conclude: «Io non accetto ricatti». Annulla il vertice serale: «Vi comunico che è mia intenzione governare bene e cambiare questa città. Se ci sono le condizioni si va avanti. Per il momento vi aspetto lunedì al consiglio comunale per votare i debiti fuori bilancio con responsabilità. Subito dopo il consiglio apriremo il confronto politico». Intervistata, lo aveva detto: «Alba non chiude perché vogliamo salvarla, ma quei debiti vanno regolarizzati per poi approvare il bilancio dell’azienda, e scegliere un nuovo manager, e quello consolidato comunale, per assumere il nuovo dirigente tecnico. Sono debiti certificati dagli uffici e i consiglieri sono responsabili davanti alla Corte dei Conti soltanto se non li votano». Fuga così le paure di chi teme di ritrovarsi al banco degli imputati dinanzi ai giudici delle finanze pubbliche.

Le reazioni
A difesa di Romano interviene Pino Bovi, capogruppo di Con Cecilia: «Stefano non voleva creare problemi, ma solo organizzare al meglio la discussione sui debiti, visto che è giusto che la maggioranza li voti in maniera compatta e che l’onere non spetti solo ai pochi che rimangono in aula». Il nefrologo, che in aula non c’era per impegni lavorativi a Torino, critica i “pattisti”: «Hanno il diritto di sollevare la questione, ma è inopportuno farlo nei giorni in cui ogni sforzo va profuso nella battaglia contro i rifiuti. Mentre si tratta un argomento tanto delicato per il futuro della città, pare che noi pensiamo alle poltrone». Parere simile a quello di Rosaria Sica, coordinarice provinciale di Rivoluzione Cristiana e commissaria cittadina ad interim, che stigmatizza l’operato dei consiglieri del suo partito: «Distraggono la comunità da un problema più serio, la salute dei cittadini, per una poltrona. Vergogna!». Marino e Amendola ribattono: «Con la sindaca abbiamo detto no al compostaggio e abbiamo partecipato all’assemblea. La Sica legga bene il documento, perché non auspichiamo la fine dell’amministrazione; al contrario, abbiamo il compito di governare, e non siamo alla ricerca di poltrone».
Egidio Mirra e Davide Bruno del Pd dicono che «La votazione sul rinvio dei debiti fuori bilancio ha mostrato uno sfaldamento in maggioranza che desta preoccupazione». E aggiungono: «L’inerzia di questi mesi si somma al disorientamento rispetto a scelte importanti. Chi guida la città tragga le conseguenze». Ieri mattina, i tozziani si sono riuniti. «Se siamo noi il problema, lo dicano, perché siamo disposti a fare non uno, ma ben dieci passi indietro», dice Ugo Tozzi.

4 novembre 2017 – © Riproduzione riservata
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