Luoghi comuni | di Ornella Cauteruccio

I muscoli erano tesi come corde d’acciaio e pulsavano nervosamente sotto la maglietta madida di sudore. Immobile, in perfetto equilibrio sopra la balaustra del balcone dell’appartamento al quinto piano, pronto a spiccare il balzo come un felino che ha puntato la sua preda. Ancora qualche secondo di concentrazione per fissare con perfezione matematica il punto esatto del balcone di fronte dove atterrare, e sgombrare la mente da qualsiasi altro pensiero, a cominciare dalla paura di precipitare e sfracellarsi al suolo, in mezzo ai bidoni dell’immondizia di quello squallido cortiletto interno.
Adesso! Era bastata una frazione di secondo e il corpo rispose all’ordine: dopo anni di Parkour praticato selvaggiamente e senza sosta in lungo e in largo per le periferie cittadine, si era trasformato in una perfetta macchina da guerra. Atterrò sull’altro balcone con un salto perfetto, dalla precisione millimetrica, senza neanche una sbavatura.
Quel vecchiaccio arcigno e bisbetico del suo vicino era davvero insopportabile. Non faceva altro che lamentarsi tutto il giorno: adesso era il volume troppo alto della musica ad infastidirlo, un attimo dopo il rumore dovuto agli allenamenti, poi incominciava ad urlare e a minacciare di chiamare i vigili se portava amici a casa di sera…negli ultimi anni gli aveva reso la vita un inferno! Però quel silenzio improvviso lo aveva insospettito: erano già due giorni che non lo sentiva né vedeva, neanche quando aveva alzato al massimo il volume dello stereo sul pezzo dei Metallica: qualcosa non andava per il verso giusto. Aveva anche provato più volte a suonare o citofonare e niente, nessuna risposta, neanche un rumore. Non aveva scelta, doveva saltare. “Sicuramente quel vecchiaccio ne avrà combinata una delle sue”.
Spiò all’interno attraverso i vetri del finestrone e scorse una sagoma scura riversa sul pavimento al centro della stanza, immobile. Arrotolò velocemente la maglietta sudata intorno al gomito e con un gesto deciso fracassò il vetro. Appena entrato venne investito in pieno da una zaffata acre di zolfo e medicinali scaduti, mentre tutt’intorno regnava un ordine meticoloso, quasi maniacale. Attraversò velocemente la stanza, circondato da decine di volti che si affacciavano da mondi lontani e lo osservavano curiosi dalle tante fotografie disseminate sui vecchi mobili. Gli si inginocchiò accanto sfiorandogli la spalla. Lo sentì gemere piano, mentre apriva lentamente gli occhi, posando su di lui uno sguardo torbido, di ritorno direttamente dalle tenebre. Era ancora vivo, per fortuna! – “Vecchio, ma si può sapere cosa combini”? Gli disse, dissimulando la paura dietro un sorriso. L’anziano corrugò la fronte e accennando un gesto di stizza rispose “Sei il solito ragazzaccio, mi hai rotto la finestra!” poi poggiò lentamente la mano sulla sua e aggiunse “Grazie”, ricambiando il sorriso dietro un velo di lacrime.
Quando l’avevano caricato sull’ambulanza sembrava un fagotto, faceva davvero pena ridotto in quello stato, ma se la sarebbe cavata. Quel vecchiaccio scorbutico sarebbe ritornato presto a rendere di nuovo insopportabili le sue giornate, non subito però… ci sarebbe stato campo libero ancora per qualche giorno. Il gomito gli faceva male e aveva qualche escoriazione, ma si sentiva più in forma che mai. Era la serata giusta per invitare gli amici e fare baldoria tutta la notte.

30 maggio 2020 – © Riproduzione riservata

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