L’ultimo modello | di Iole Palumbo

A scuola ero sempre stata la migliore e anche quest’anno era così. Le nuove materie avevano stimolato ancora di più la mia curiosità, con le lettere greche ero andata subito d’accordo, le declinazioni mi erano entrate in testa come se fossero state sempre dentro di me ad aspettare maieuticamente di essere tirate fuori. Ma tutto ciò contava poco. Nel liceo più ambito della città, io c’entravo come le scarpe da tennis in una serata di gala.
Di notte immaginavo che i miei compagni venissero plasmati in una catena di montaggio: ogni pezzo selezionato e inserito al posto giusto. Il prodotto era perfetto, tutto in serie. Zaino, penne, diario e quaderni griffati. Outfit ostentatamente casual, unghie satinate. Ma il dettaglio su cui confluiva l’attenzione di tutti era il cellulare: modello, colori, caratteristiche, app, giga, pixel, memoria, pronto per condividere successi, luoghi esclusivi e scatti impeccabili. Ovviamente mi guardavo bene dal tirare fuori il mio iphone conservato meticolosamente dai tempi della prima comunione. Ero intervenuta sui miei profili social per oscurare foto e post troppo infantili, avevo finto di interessarmi agli eventi dei locali di tendenza dove non avrei mai messo piede e me ne andavo a casa a piedi pur di non prendere lo scuolabus coi ragazzini delle medie. Eppure non era stato difficile per altri capire che le differenze tra noi si sarebbero colmate solo quando avrebbero costruito il ponte sullo stretto di Messina. In aula ero trasparente, gli unici momenti di gloria erano i compiti in classe, quando, il fatto che tutti mi cercassero, metteva in secondo piano anche il pericolo di essere beccata dal prof. Purtroppo durava appena un paio d’ore, poi gli eventi riprendevano il proprio corso. L’unica speranza di dare una svolta era un telefono nuovo. Dovevo rottamare il mio prima che qualcuno lo vedesse e prendere quello che girava sulla copertina del catalogo Euronics, in uscita a breve. Esclusa la possibilità di chiedere ai miei, da anni impegnati con le storie sui veri valori dell’esistenza, avevo un’unica possibilità: commuovere mia nonna. Del resto era una vita che portavo il suo nome con orgoglio. Doveva solo farmi un prestito, le avrei restituito tutto sacrificando i miei weekend con piccoli lavoretti. Non mi sarebbe certo pesato rinunciare alle passeggiate intorno alla chiesa, erano mesi che i miei sabati trascorrevano tutti uguali. Mi bastarono trenta minuti per convincerla. Coi miei soldi corsi al negozio. Quella sera mi addormentai col desiderio che fosse già domani. Non vedevo l’ora di scoprire le reazioni dei miei compagni quando con indifferenza avrei appoggiato sul banco l’ultimo modello.

5 settembre 2020 – © Riproduzione riservata

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