Lilith | di Sofia Del Borrello

L’Era dei sassi cominciò con il gelo. 
Dopo un’immane carestia di sentimenti, dopo anni segnati dal pianto della paura, la cattiveria divenne la regola e sul pianeta iniziò il regno dell’Ignoranza. La bellezza venne depredata: le rose cessarono il loro profumo, la musica non ebbe più armonia, il cielo dimenticò l’azzurro e, nell’indifferenza dei più, le foreste persero il loro respiro. La corruzione contaminò la cultura che fu schiacciata fino a dissolversi, come i ghiacciai in Antartide, come i rinoceronti a Giava e gli oranghi in Borneo. 
L’atmosfera densa di carbonio bruciò dalle alghe alle chiome, in pochi anni funesti. La guerra fece il resto: fu una guerra verticale, dall’alto verso il basso e non popolo contro popolo. Le masse vennero sottomesse dai loro stessi governanti. Una guerra pulita senza spargimento di sangue, viscida e perfida, pianificata attentamente dai Potenti, sempre più avidi di un Potere di cui loro stessi divennero schiavi inconsapevoli. Molti uomini morirono senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse accadendo; ridotti in miseria, ammalati, imprigionati, sacrificati a logiche che non comprendevano, furono schiacciati, le loro civiltà furono invase dal male della Dimenticanza, come già del resto era successo nei millenni passati alle civiltà che li avevano preceduti.  
Venne il silenzio, scese lento a occupare valli, strade, chiese, palazzi, menti. L’intero pianeta, cimitero di uomini e animali, restò ammutolito, privato delle gioie, addirittura perse i colori e i profumi: il verde si lasciò morire, le zagare non attrassero più le api, non nacquero più arcobaleni. Tutto tacque in lutto. 
I pochi superstiti iniziarono una lenta opera di ricostruzione. 

I giorni nell’Era della terra.
Lilith, come ogni mattina, innaffiò i turdischi e raddrizzò i sostegni delle minlavinie che il solito vento notturno, denso di metano e ozono, aveva abbassato. Nel cielo, insieme alle nuvole di vapore acqueo, c’erano ancora ammassi di fango limaccioso che oscuravano la vista del sole flebile anche a luglio.
La casa rifugio, costruita a ridosso della scogliera, era piccola e ospitava tutti i loro tesori: libri scritti ai tempi del Sole, un giradischi e dieci dischi sopravvissuti alle tempeste Turpi, il poster di una metropoli americana ancora piena di luci come sciami di stelle. 
In quel mattino dell’anno quattro della Rinascita, nel cielo si rividero i primi aironi: passarono schivando nubi e ammassi, diretti verso un miraggio, più che verso Sud. Lilith alzò gli occhi al cielo e accarezzandosi il ventre, urlò: “Buon viaggio!”. Allora, il lupo che viveva con loro lanciò un ululato unendosi al saluto dell’umana, poi tornò a sdraiarsi sotto l’albero delle melpere, accanto al serpente arrotolato.
Adam si alzò dal suo Angolo armonioso della Meditazione e accorse, destato da quel vociare inconsueto: sorvegliava attento affinché non ci fossero accadimenti infausti nel piccolo ritaglio di mondo che avevano a fatica ricostruito. 
Da alcuni giorni era preoccupato dall’aspetto stanco di Lilith. Sorrise, leggermente rinfrancato, nel vederla intenta a raccogliere le melpere aiutata dal lupo e dal biacco. In giardino avevano piantato nuovi alberi: i Platanpini erano cresciuti con le radici a vista, in cerca di umidità e con le foglie tonde per catturare più luce. Dietro casa, il piccolo bosco di Viruskille stava già fiorendo: tronchi chiari sensibili alle correnti, seguivano linee contorte, ondeggianti e talmente flessibili da cambiare direzione a ogni minimo vento, rami colmi di infiorescenze bianche, tenuamente profumate, fogliame candido anch’esso e deciduo. Quando in autunno cadeva, il terreno sembrava innevato e magico, visto che da decenni ormai la neve, quella vera, non riusciva più a scendere. Questi alberi erano parte del loro sostentamento, ma soprattutto rappresentavano un esercito pacifico contro i virus: le foglie, piccole e coriacee, assorbivano le particelle infettive e le trasformavano, neutralizzandole, in fiori commestibili dal sapore delicato, altamente proteici. 
Adam entrò in casa, prese il quaderno e iniziò a scrivere. Scandiva le sue giornate con impegni così diversi da quelli di un tempo lontano. Da impiegato, afflitto dagli orari di lavoro, dal traffico, dalla necessità della perfezione in tutto, ora aveva scoperto la bellezza della lentezza. Lilith poi era stata un miracolo. 
Si erano conosciuti tra le file degli Indocili. Il primo incontro fu segnato dal sangue e dal fuoco: nascosti tra i boschi del sud, si erano incisi i polsi per togliersi i microchip di tracciamento imposti dal Nuovo Stato Etico. In una radura li avevano bruciati insieme alla Patente di immunità, e così la loro storia era iniziata nella latitanza. Era primavera ed i boschi pullulavano di Orchidanze selvatiche: i Maggi si coloravano di un verde tenero come i loro sguardi innamorati. Quando, all’inizio dell’estate, poterono uscire allo scoperto, rimpiansero quei giorni passati nel fango a nutrirsi di fungaggini e verbemmi, come se avessero perso un angolo di paradiso. 
Mentre annotava i mutamenti rilevati nella loro piantagione di Acquafile, Adam ripensò a quei giorni non tanto lontani, ma subito fu attratto nuovamente da un vocio squillante. Lasciò il quaderno e gli appunti e si diresse verso il giardino con una strana sensazione di disagio incombente. Vide Lilith sorridente mangiare una melpera, mentre il lupo saltava festoso dietro una cavalletta. 
Lilith lo notò fermo sull’uscio, il suo sorriso si allargò, gli corse incontro come se non lo vedesse da anni. 
“Abbiamo raccolto i frutti maturi. Sono dolcissimi!” disse con la bocca piena di polpa e di gioia. 
Allora Adam smise di nascondere la sua ansia “Lilí. Come stai? Sei pallida e…” 
Lilith con un bacio interruppe la domanda, poi senza smettere di sorridere aggiunse “Sarà femmina, lo sento”. 
Altri aironi passarono bassi in un cielo che finalmente apparve sgombro e di un azzurro nuovo, mentre la luce vibrava in bagliori nuovi, colmi di promesse di gaudio.

13 novembre 2021 – © riproduzione riservata

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