Lettera al suo cronista

[di Lucio Spampinato]

Leggo sul Suo giornale, egregio direttore, che nella nostra amabile città, capofila della valle del Sinegro di questa ridente provincia riunita (orgoglio del glorioso programma di riassetto organizzativo amministrativo quasi-dioclezianeo dell’attuale partito di governo), è stato finalmente tratto in arresto e tradotto in casa circondariale uno scaltrissimo truffatore tutto di matrice nostrana, resosi per anni irreperibile. Leggo, infine, che il pericoloso ricercato figurava fra le persone latitanti seppure raggiunte da procedimenti recanti misure cautelari personali e reali, richieste da pubblici ministeri e disposte da giudici per le indagini preliminari, addirittura in lungo e in largo per la nostra dolce Penisola. E scrivo a Lei per pudore, gerente esimio, perché riferisca al Suo cronista le seguenti considerazioni che pure La riguardano, nella Sua qualità di professionista capo del giovane redattore, e quindi quale suo maestro, ma anche come direttore responsabile della testata; di responsabilità se non proprio civilistica, in questo caso, quantomeno morale. Il fatto è, timoniere emerito, che definendo pericoloso truffatore il Delli Santi non si tiene conto del fatto che l’uomo fu letteralmente assoldato, per qualche manciata di banconote da venti euro, da alcuni imprenditori locali che, già intenzionati a non pagare le ingenti forniture commerciali presso grossisti, nei confronti dei quali si erano già in precedenza favorevolmente accreditati come ottimi pagatori, si servirono di lui come il nuovo legale rappresentante. Come si sa, fra le tante e profonde storture delle leggi che ci governano, è l’amministratore di una società che risponde, anche penalmente, degli illeciti commessi dall’entità giuridica, ma non coloro che ne sono i padroni effettivi,  beneficiari estremi dei frutti pendenti e gustosi dell’attività, se non si riesce a dimostrare che i veri titolari erano altri, e operanti nell’ombra, che il ruolo dell’amministratore fu solo formale, privo di discernimento ed estraneo a qualunque partecipazione nella gestione dell’azienda. Per cui mi chiedo se il Suo cronista abbia mai sentito parlare in ambito societario di teste di legno, di prestanome; perché a me sembra che proprio di un caso del genere si sia trattato. In un momento di crisi come quello che attraversiamo, integerrimo duca, si vedono in giro suv a decine di quella casa tedesca che espone in stemma l’araldica stoccardese con una cavalla tutta nera e rampante, fra palchi neri di cervi in scudi rossoneri, in campo oro, emblema della Foresta Nera; nera anch’essa. Posso ammettere che i rampolli dei maggiorenti odierni siano meno sobri dei padri, più votati all’esteriore, al grande fratello e al palestrato; ma, sbirciando all’interno di quegli abitacoli certe grinte sinistre, certe ghigne, certi musi con barbe di carta vetrata, non si può non pensare ad origini opacissime del capitale. E una frequenza di così tanta ostentazione non può evitarci di indovinarvi soldi fatti in fretta e con assai dubbie strumentazioni. Io sarei pronto a scommettere che i macchinoni sono anch’essi intestati a personaggi di comodo, magari reperiti nel parentado più devoto e cadetto, pronti a essere sveltamente rivenduti in caso di sequestri preventivi per equivalente, onde evitare la definitiva confisca, creando riserve di salvataggio per tempi di vacche magre. Mi lasci inoltre dire qualcosa a proposito della presunta latitanza del Delli Santi e del merito attribuito alle forze dell’ordine per catturarlo, aulico capitano della carta stampata. Di questo merito, ritengo, i tutori dell’ordine ne fanno volentieri a meno! Perché? Ma, insigne dirigente, come può ritenersi latitante un uomo che con la sua bici elettrica attrezzata a carretto da arrotino circola diuturnamente per le vie di questa famosa città civile, stazionando per lo più davanti a botteghe di macellai, salumieri e beccai, offrendo loro i suoi servizi di molatura di coltelli, punteruoli, forbici, mannaie, spelucchini? E come se non bastasse, come può appellarsi irreperibile chi, dopo il lavoro, resta seduto ore e ore davanti allo stesso bar annesso al medesimo banco del lotto? Un uomo che diventa icona di un quartiere insieme ai suoi silenzi sornioni ma bonari, alle battute rare ma ficcanti, alla stessa fumea azzurrina dell’eterno ammezzato Garibaldi piantato fra le dita ingiallite che segnala la sua presenza persino ai ciechi, può mai essere, eccellente soprintendente, considerato introvabile? Onestamente, credo di no! L’articolo del Suo cronista, ottimo editore, contiene due affermazioni, dunque, prive di fondamento e che non gettano luce sulle vere ragioni e sui veri colpevoli. Una velina battuta con indifferenza e superficialità, un riporto da copia e incolla, una ripresa acritica di notizie circolate in rete, dopo essere sfuggite dagli spifferi dei palazzi di giustizia e gettate lì per riempire tristi riquadri bianchi, da contendere ai sempre più incalzanti seppur tanto proficui spazi pubblicitari. Adesso è in carcere un uomo malato perché da qualche tempo una lieve paresi controlaterale sinistra lo costringe a parlare con difficoltà. E spero che questo gli risparmi almeno i rigori più bui della mancanza di libertà, per la quale ha rinunciato ad una vita ordinaria. Ora che la sera arrossa il mondo e i suoi abitanti, non so se scontino le stesse pene quelli che si sono avvantaggiati veramente di quei reati o se, ancora una volta, paghi soltanto chi, al contrario dei primi, ha visto e passato tanti guai e imparato molte cose dalla vita tranne qual è il crimine giusto per non passare da criminali.

Facebooktwittermail