L’anima dello smercio
[di Ernesto Giacomino]
C’è questa vicenda, recente, su un caseificio di un comune vicino che faceva mozzarella senza latte. Un po’ di caglio, poi giù surrogati chimici a gonfiare, sbiancare e dare sapore. Notizia passata un po’ in sordina, commentata col sorriso, al massimo con una smorfia di rassegnazione per i soliti furbi che s’arricchiscono violando le regole. Eppure è un fatto sintomatico circa la percezione diffusa che si ha del nuovo sistema economico: ingannare anziché lavorare, truffare anziché produrre. Il Made in China docet, no? Imitavano le nostre praline senza metterci nocciole, le sostituivano con un loro dattero di sapore simile. Solo che, per digerirlo, occorreva una puntatina al pronto soccorso.
La crisi eterna, quella che ci paventano da televisioni e giornali, passa anche – o soprattutto – attraverso marciume del genere. Ecco perché la ripresa, a dispetto da quanto dicono da Roma, non è così prossima come si crede. Non occorre un cambio di metodo, ma di mentalità. La giostra si è incagliata; il corso del fiume deviato per fare anse d’abbondanza solo dove c’è chi sa raccoglierne l’acqua. E quello che arriva alla foce, il rigagnolo fetido che sversa a mare, viene fatto passare come l’unica ricchezza a disposizione della comunità.
Il mio vecchio discorso sulla produttività, ah sì. Chi lo conosce lo evita. Eppure voglio peccare di ridondanza. In un mercato del lavoro che assorbe al massimo l’80% della forza disponibile, il grosso degli occupati è sottopagato fino al limite della soglia della povertà, un’altra fetta si piazza borderline fra sopravvivenza e giusto compenso e una componente minima, minimissima (il marasma di produzione multinazionale tipo amministratori delegati, manager, institori, faccendieri, portaborse e papponi vari) è capace non solo d’ingozzarsi di tutto quanto tolto alle altre due categorie ma addirittura di utilizzarlo in maniera inutile se non dannosa per l’economia intera. La recentissima vicenda della banca svizzera HBSC, con i suoi settemila evasori di lusso nella sola Italia, è abbastanza emblematica, al riguardo. Centosettantotto miliardi d’euro sono difficili già da scrivere, figuriamoci da guadagnare. Eppure – “c’è crisi, c’è crisi”… – ci giravano intorno. Solo che erano nelle mani sbagliate. Mani potenzialmente truffaldine, e soprattutto – per l’appunto – improduttive.
Ecco, fenomeni come quello dell’HBSC, in dimensione spicciola e rionale, ce l’abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. Ce li abbiamo ogniqualvolta vediamo una sproporzione tra ciò che spendiamo e il servizio scarso che riceviamo. Ce li abbiamo quando il supermercato che chiude alle venti e trenta ci caccia via alle venti e quindici, quando la scontrosità di un tabaccaio ci dissuade dal tornare, quando un avvocato vuole mezzo stipendio per mandare un’e-mail di rinvio di una causa. Il cliente non ha più sempre ragione: non è lui che fa la domanda, ma vizi, abitudini e convinzioni di chi fa l’offerta. La fanno i cantieri lenti e deserti, i negozi ad apertura comoda, l’operatività di certi sportelli bancari soggetta al turnover del caffè al bar.
Tutto silente, imposto, accettato, secondo il nuovo motto di questo millennio: datemi una crisi, e solleverò il mondo.
13 febbraio 2015 – © riproduzione riservata