L’abuso emozionale
“Hai sbagliato di nuovo”, ”sei un buono a nulla”, ”ti avevo detto di non farlo, sei il peggiore di tutti”.
Disapprovazioni e mortificazioni vengono subite quotidianamente dai figli.
Senza rendersene conto si commette a volte un vero abuso emozionale. Questi atteggiamenti del caregiver (colui che si occupa del bambino) caratterizzati da elementi di rifiuto, di biasimo e denigrazione che colpiscono il piccolo inducendolo all’idea che vale poco, che non è amato o desiderato, rappresentano una vera forma di maltrattamento infantile che assume l’aspetto di una costante attenzione negativa.
Ciò che rende effettivamente traumatica questa forma di abuso è la sofferenza sperimentata dal bambino per il fatto di non riuscire a dare una spiegazione evidente e reale ai suoi comportamenti tale da poter giustificare il trattamento di cui è vittima, il non riuscire a comprendere o a motivare il maltrattamento ricevuto.
Difficile da comprendere, misurare e sopratutto riconoscere questo tipo di maltrattamento probabilmente anche perchè è la forma più comune e condivisa all’interno delle famiglie. L’abuso emotivo avviene tra il bambino ed il caregiver o tra madre/padre e figlio. Il trauma, quindi, è inflitto e perpetrato proprio da chi dovrebbe essere il dispensatore di cure affettive per il bambino. Quando il bambino si trova di fronte ad una minaccia, un pericolo, fugge istintivamente nelle braccia protettive della madre. Cosa succede o cosa può fare il bambino se è proprio la madre ad essere la fonte della minaccia? Il bambino prova due tipi di sentimenti: da un lato la rabbia per le carenze nelle attenzioni, i torti subiti, le derisioni, la fiducia tradita, dall’altro la paura di perdere l’amore dei genitori. Quindi sentimenti di rabbia, tristezza, delusione e paura che accompagnano comportamenti di trascuratezza, disattenzione, non disponibilità sono mescolati a sentimenti d’amore per lo stesso genitore. Il genitore maltrattante diventa per il bambino “l’amato persecutore”. Il bambino, per sopravvivere a questa situazione contrastante, rimuove i sentimenti negativi, li annienta, finge che non siano mai esistiti, perché dipende da questi genitori amati e odiati. Pian piano il bambino cerca di convincersi che è lui il responsabile del trattamento che riceve per qualcosa che ha commesso o preteso, trovando così una soluzione, una via di uscita per far cessare la terribile frustrazione, preferisce sentirsi in colpa piuttosto che vittima impotente. “Se la mamma mi tratta così male, se lei non comprende le mie richieste d’affetto ed attenzione, non può essere per colpa sua, lei è la mamma; questo vuol dire che quello che fa a me è giusto, è il mio bene, vuol dire che me lo merito, vuol dire che il responsabile e il colpevole sono solo io, vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato in me, vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato in questo corpo?”. In questo modo ha la certezza, la garanzia che l’affetto dell’amore della madre e del padre non saranno perduti. La disapprovazione, il rimprovero, le critiche reiterate da parte del genitore per il comportamento del bambino diventano caratteri distintivi della sofferenza nella vita adulta. Ciò che è accaduto nell’infanzia è scritto nel proprio corpo. Si può ingannare l’intelletto, manipolare i sentimenti, mentire al corpo con l’assunzione di farmaci, ma il corpo è incorruttibile e cesserà di tormentare solo quando non si occulterà più la verità.