La solitudine dei numeri privi

[di Ernesto Giacomino]

Paese che vai ritornelli che trovi. Mezzo secolo fa Dalla e De Gregori cantavano “ma come fanno i marinai?”, a Battipaglia è una vita che ci chiediamo “ma come fanno i postini?”. E i corrieri, i messi comunali, gli addetti alla lettura di acqua e gas?

Cioè, il paradosso assoluto: siamo al punto che, pure per un allaccio d’un contatore, di casa tua devi sapere tutto: foglio, particella, sub catastale, classe energetica, rendita, chi ha fornito il cemento e di che marca era la spatola dello stuccatore. Eppure il tutto serve a poco, se poi non spieghi elementarmente come individuarla, quella casa: “è la palazzina rossa a mattoncini, è quell’altra blu, è la villetta dietro la farmacia”. Cioè, due terzi delle volte il solo indirizzo è potenzialmente inutile: devi dettagliare, illustrare. Panoramicizzare. E tutto perché, sempre due terzi delle volte, sul tuo palazzo o negozio o casa indipendente non c’è scritto il numero civico.

Dico sul serio. Nei vicoletti magari no, il problema pare meno sentito: sarà perché le manutenzioni sulle facciate sono meno frequenti, o perché i proprietari sono più attenti a ridipingercelo a ogni rinfrescata. O magari per spirito solidale, che giacché sono zone più difficili da scovare ci si tiene ad agevolare le visite ai “forestieri”.

Sulle vie centrali, invece? Macché, ci s’attacca. Via Roma, via Mazzini, via Baratta, via Olevano: trovalo, un numero civico. O meglio, qualcuno c’è: ad andarti di lusso, due o tre ogni venti. Così, giusto per orientamento, per non lasciarti del tutto solo e disperato. Per cui: devi raggiungere il civico 150? Perfetto: comincia a camminare a caso su uno dei due lati con la speranza d’individuare un numero superstite; mettiamo che dopo trenta metri senza risultati trovi un 109, ok, sei sul versante dei dispari e quindi cambi lato, annaspi un altro po’ a zonzo finché non ne vedi uno pari, ottimo, è il 66, ora va capito se la numerazione sale o scende e quindi cerchi il prossimo, altri trenta metri, alla fine ne individui uno stinto e scrostato sulla saracinesca d’un negozio chiuso da trent’anni, oddio è il 20, quindi dovevi andare nell’altra direzione. Eccetera.

Inumano, per andarci tiepidi. Ché andrebbe capito come funziona, in realtà: è normale che chiunque, quaggiù, si sia potuto coprire o smontare il civico per rifarsi la facciata, o il portone, o il capitello corinzio di contorno alla vetrina decorata a mano da un monaco shaolin nutrito solo a bacche ed effluvi di gerani, per poi sbattersene allegramente di rimettercelo? O non toccava a lui? O magari toccava a un ipotetico ufficio toponomastica, alla municipalizzata della manutenzione, al pittore Cardone de “La banda degli onesti”?

Boh, non lo sapremo mai. L’unica cosa certa è che, anche in ciò, il livello di approssimazione è d’un’apprezzabilità che rasenta il folcloristico, ci si potrebbero fare manifesti turistici con slogan tipo “Battipaglia, la città della privacy: qui puoi andare solo da chi conosci” e tappezzarne i muri per Natale. Roba che neanche a Tokyo, voglio dire, che pure è famosa per avere solo strade senza nome.

Insomma, giusto per rimanere nel cantautorato vintage con cui ho iniziato il pezzo: “forse non lo sai, ma pure questo è orrore”.

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