La rosa selvatica

[di Simona Otranto – erborista]

La rosa è apparsa sulla terra circa settanta milioni di anni fa, probabilmente in Asia dove fu iniziata la coltivazione, diffondendosi esclusivamente nell’emisfero boreale. Nei millenni ha dovuto adattarsi a condizioni ambientali estremamente diverse. Una serie di mutazioni genetiche ha così dato origine alle tante specie naturali, le progenitrici di tutte le rose moderne. Rosa L. è un genere di piante che oggi racchiude moltissime specie e innumerevoli varietà comprese nella grande famiglia delle rosacee, alla quale appartengono piante con caratteristiche talmente diverse da rendere difficile credere che un biancospino, un ciliegio, un nespolo siano imparentati non solo tra di loro ma anche con la rosa. Un carattere macroscopico comune è il fiore composto da cinque petali e da cinque sepali. Questa particolarità, riscontrabile nella maggior parte delle rosacee, è stata profondamente modificata nella rosa: grazie alla tecnica dell’ibridazione, infatti, l’uomo ha ottenuto esemplari anche fino a cento petali. Le rose che crescono spontanee generalmente si attorcigliano in un cespuglio aggrovigliato con rami molto lunghi. In Italia se ne contano circa una trentina di specie. 

Fatta questa lunga premessa, ci concentriamo sulla rosa canina (Rosa canina L.), conosciuta anche come rosa selvatica o rosa di macchia, un arbusto cespuglioso a foglia caduca alto fino a due tre metri diffuso in tutto il territorio italiano. Cresce spontaneamente ed è facile incontrarla durante una passeggiata in montagna o vicino al mare. I fiori, delicati, mantengono la caratteristica dei cinque petali obovati di colore variabile dal bianco al rosa intenso e possono essere ammirati da maggio a luglio. Il “frutto”, che ne costituisce la droga, matura tra ottobre e novembre. In effetti la bacca è un falso frutto ed è caratterizzato da un colore rosso, da una consistenza carnosa e da un sapore aspro. I frutti veri e propri si trovano all’interno e sono gli acheni, dalla superficie pelosa, che contengono ognuno un seme. Tutta la struttura nel suo complesso è detta tecnicamente cinorrodo.

Il nome rosa “canina” pare sia dovuto all’uso che in antichità veniva fatto del decotto delle radici. Tale preparato era infatti utilizzato come rimedio contro la rabbia procurata dai morsi dei cani.

Le “bacche” di rosa canina rappresentano una delle principali fonti naturali di vitamina C.
Oggi la maggior parte di quella che si trova sul mercato (come acido L-ascorbico) viene sintetizzata in laboratorio a partire dal D-glucosio attraverso metodiche industriali. La differenza sostanziale tra la rosa canina e l’acido L-ascorbico isolato, purificato e titolato, sta nel fitocomplesso ossia nelle sostanze associate alla vitamina C presente nella pianta (come gli antiossidanti, i flavonoidi, ad esempio, che ne riescono a modulare l’attività biologica e la biodisponibilità rendendola, di fatto, superiore a quella sintetica). Gli altri principi attivi presenti sono tannini, pectine, carotenoidi, acidi organici, polifenoli. Ha pertanto proprietà vitaminizzanti, astringenti, antinfiammatorie, diuretiche. I petali e le foglie vengono utilizzate per tisane leggermente astringenti.

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