La memoria dell’Egeo
[di Ernesto Giacomino]
Mercoledì scorso, 27 gennaio, nel Salone della Prefettura di Salerno è stata consegnata la medaglia d’onore alla memoria di Antonio Di Filitto (già intitolatario dell’omonima via nel rione Stella), soldato battipagliese disperso durante la seconda guerra mondiale. O meglio: dato per tale. Almeno fino a oggi.
Una storia di perdite, di orgoglio familiare, di tenacia. Tristemente bella nella sua semplicità. Una favola, purtroppo, senza lieto fine; ma utile, per qualche istante, a unirci in una stretta di memoria e appartenenza. Di quelle che, chissà, un giorno contribuiranno a tesserci dentro quell’identità storica e sociale che stentiamo a trovare.
Battipaglia in guerra, 1943. Dopo quindici giorni di licenza, il soldato in questione – erede di un’onorata famiglia di agricoltori battipagliesi, stabilitisi nella Piana già da tre generazioni – salutò per l’ultima volta la sua famiglia prima di tornare al fronte. Destinazione, stavolta: Grecia, isola di Rodi.
Poco più di un mese dopo il suo arrivo, Antonio scrisse la sua ultima lettera ai familiari. Poi, per i successivi settant’anni, di lui non si seppe più nulla. Le poche righe vergate a mano sul suo foglio matricolare dai Carabinieri di Battipaglia, nel marzo del ’48, recitarono solo: “tale ritenuto disperso in Grecia per eventi bellici”. La chiusura di rito, cruda e formale, identica a quella che aveva riguardato migliaia di soldati disseminati in tutto il mondo.
Nella storia di Antonio, tuttavia, c’è un “ma”. Una testimonianza vaga, confusa; le parole di un reduce che ricordava di averlo intravisto imbarcato su “una nave che poi è affondata”. Un racconto fugace, più che altro; qualcosa che per i primi tempi bastò solo a tenere in vita le flebili speranze dei congiunti di Antonio. Destinate, però, col tempo, a sbiadirsi di pari passo con i ricordi
C’è un familiare, tuttavia, che negli anni ha deciso di non arrendersi al mistero che avvolge la scomparsa di Antonio. È suo nipote Renato De Filitto, figlio di uno dei suoi fratelli. Che, dopo un lavoro certosino di ricerche e incroci temporali, a settant’anni dai fatti è riuscito a risalire fino all’Archivio Segreto del Vaticano. E da lì, un tassello alla volta, ha finalmente ricomposto il mosaico del tragico epilogo della storia di suo zio; confermando, peraltro, come la testimonianza ricevuta settant’anni prima dal suo commilitone fosse stata molto più che una visione confusa.
In tali archivi, infatti, Antonio Di Filitto risulta effettivamente tra i prigionieri di guerra imbarcati a Rodi sul piroscafo Oria – originariamente francese, poi requisito dai tedeschi – in direzione Pireo. Piroscafo che, il 12 febbraio 1944 fu tragicamente affondato da una tempesta, restituendo pochissimi superstiti (in ragione di decine su più di quattromila imbarcati).
Nulla che sposti la drammaticità del finale, dirà qualcuno. O che possa davvero alimentare – visto il tempo passato e l’incalzare dell’età – una tenue speranza che Antonio, magari sopravvissuto, sia comunque in qualche antro di questo mondo a godersi la fine dei suoi giorni.
Ma, con la certezza di una tomba su cui pregare, è stata ridata pace a una famiglia. E, alla comunità, una memoria da onorare.