La gemella | di Assunta Giordano

Appoggiò piano il battente della porta, augurandosi che il cigolìo dei cardini non destasse i vicini. Lui giaceva a terra, gli occhi aperti, lo sguardo stupito di chi, sentendosi invincibile, non si aspetta che il caso decida a suo detrimento. Era rientrato presto mentre lei preparava i bagagli. L’aveva guardata con un sorriso infastidito, come un pescatore guarda il granchietto che cerca di allontanarsi dalla rete da pesca, poi era esploso in una risata sguaiata. Lei restava in silenzio a capo chino, non per timore, ma per non consentirgli di leggere la risolutezza nel suo sguardo. Spesso le parole l’avevano schiaffeggiata più delle sue grandi mani e, mentre all’inizio ogni insulto la inebetiva e prostrava, piano piano qualcosa dentro di lei aveva preso forma, assumendo le sembianze di una gemella immaginaria, che le dava forza quando serviva. La risata di lui si tramutò in un ghigno e dalla sua bocca uscirono le frasi usuali, con qualche variante dovuta alla particolare occasione: “Imbecille, pensi che ti voglia fermare? Immagino ci sia un uomo che ti aspetta. Pensi davvero di averne trovato uno migliore di me? Io ti ho reso donna, eri una poveretta, complessata, cafona peggio di una contadina di paese. Con me hai imparato classe, cultura, sei pure diventata carina, quando ti ho conosciuto eri inguardabile. Solo il tuo immenso amore per me mi ha attratto. Che grande spreco di energie. Ma lo sa che sei frigida? Si divertirà da morire!” Inutile rispondergli che non era mai esistito nessun amante, che era lui a contornarsi di donne di ogni genere per appagare il suo ego insicuro e famelico. Né aveva senso dirgli che non era frigida, ma desiderava tenerezza tra le lenzuola per essere partecipe. Aveva imparato, a spese degli ematomi ancora presenti sul suo corpo, che era meglio tacere. Le volte in cui si era ribellata, si era sentita rispondere che era colpa sua, che lo provocava, con parole, sguardi o silenzi.
Andò in bagno a prendere le sue cose e, quando rientrò in camera, lui non c’era più; forse aveva capito che era meglio per entrambi. China sul borsone non si accorse che lui le era alle spalle, fino a quando non sentì la sua voce sussurrarle all’orecchio: “Povera pazza, davvero credi di poterti liberare di me?!” La fredda lama del coltello lambì la sua gola. La gemella le suggerì di rimanere immobile. Così fece, per secondi o minuti interminabili, cercò di controllare il respiro per paura di tagliarsi. All’improvviso il braccio che la stringeva allentò la presa e sentì un forte tonfo. Si voltò e lo vide a terra, esanime, con il manico del coltello stretto nella mano destra. Compose il numero dell’emergenza medica, dando le indicazioni del caso e si avviò verso l’uscita. La sua gemella le ricordò di non chiudere la porta di ingresso per permettere ai soccorritori di entrare, per quanto fosse oramai inutile. In giardino l’albero di mimosa, sebbene non spirasse un alito di vento, lascò cadere le sue gialle infiorescenze come coriandoli festosi.

13 marzo 2021 – © riproduzione riservata

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