La droga di Prevert | di Gabriella Pastorino

Lucrezia seppe della morte della befana del quarto piano al ritorno da scuola. Davanti al portone c’era la macchina della polizia con alcuni poliziotti che le chiesero chi fosse e dove andasse. Lei, 15 anni appena compiuti e tutti i Montalbano visti e rivisti in tv, rispose compunta: 
«Mi chiamo Lucrezia Delrè ed abito al secondo piano, interno 6 – ed un momento dopo aggiunse, seria – sono la figlia del viceispettore Delrè».
«È la figlia di Delrè – disse una poliziotta al tizio davanti al portone – Falla passare».
Nelle scale, il maestro in pensione del primo piano la informò che era morta la signora Iride: «Morta ammazzata. Con una botta in testa. I drogati» spiegò, lapidario.
Alle tre, mentre la mamma prendeva la seconda e ultima tazzina di caffè della giornata, suonarono alla porta. Era la polizia. La mamma li accolse con garbo ma ancor prima di farli accomodare in salotto, ordinò a Lucrezia di andare in camera sua. La poliziotta – erano un uomo e una donna – disse che no, volevano parlare anche con la ragazza. 
«Perché?»
«Perché la signora Iride che passava le giornate sul divanetto di fronte la tele, era sempre dietro la finestra quando entrava e usciva Lucrezia».
Chi? la befana del quarto piano?
«Una telecamera della banca alla fine della strada abbraccia anche la facciata di questo edificio e si vede chiaramente che segue la bambina…»
La mamma, incavolatissima la interruppe, gelida: «Basta! Chiamo il mio avvocato». E Lucrezia pensò tutt’insieme che come si permetteva quella scema di poliziotta di chiamarla bambina, che loro mai avevano avuto un avvocato e forse non ne conoscevano manco uno e che Montalbano era tutt’un’altra cosa.
La mamma sibilò: «Mia figlia è minorenne; parlate con me o vi denuncio».
«Eh, le minorenni di oggi…» borbottò il poliziotto coi capelli rossi. La mamma, rigida che pareva avesse ingoiato la scopa, si alzò e si diresse alla porta.
Lucrezia con una fitta di dolore risentì le parole di papà che burlava la mamma che quando si incavolava faceva la principessa dei ghiacci. Anche lui la chiamava “la mia bambina”, ma Lucrezia, piccina e magrina, ora aveva 15 anni e faceva il quinto ginnasio, e non era più una bambina. Se ne era accorto solo Diego.
La sera a letto ricordò che effettivamente due volte aveva notato la befana sporgersi nella tromba delle scale e le pareva addirittura di averla sentita bofonchiare qualcosa; ma lei andava sempre di corsa per non fare tardi a scuola. Fu un momento, poi prima di addormentarsi, forte, imperioso tornarono “quel” pensiero e la paura. A scuola non si parlava d’altro: la befana era antipatica a tutti. Poi scoppiò la bomba: il fondo del secondo cassetto del comò della signora Iride era tutto foderato di bustine di cocaina. 
Lo dicevano tutti, anche il giornale, anche a scuola, ma i due poliziotti quando tornarono a casa loro, nervosi e sgarbati, dissero alla mamma che le bustine, ordinate ed in fila erano protette da fogli azzurrini di un diario, fogli del mese di ottobre del diario di Lucrezia. La mamma svenne, Lucrezia, terrea, protestò di non saper dare una spiegazione. La poliziotta che minacciava di sbatterla in galera se non parlava, ruggì che non arrestava madre e figlia immediatamente per rispetto alla memoria del viceispettore Delrè.
La mattina seguente, nell’ora di greco, il bidello entrò in classe dicendo che la signorina Delrè era attesa in segreteria. Disse “la signorina Delrè” e Lucrezia che aveva passato la notte piangendo di dolore e di paura, si sentì mancare il respiro.
In segreteria la preside le chiese se accettava di parlare con la poliziotta. La ragazzina annuì appena, e la preside uscì. La poliziotta grassoccia le si sedette di fronte su uno stesso banco e a muso duro sillabò:«Voglio il nome, se no ti porto in questura, ora, subito. E non fare scene con me, chiaro, Lulù?»
Lucrezia sentì di avere le mutandine bagnate: se l’era fatta addosso. La poliziotta vide scurirsi i jeans della ragazzina e ne ebbe pena.
«Scappa in bagno, sfilati solo le mutandine. Ti aspetto».
A Lucrezia che tornò dopo un momento barcollando, disse:
«Non ti sembrerà possibile, ma tanti anni fa  sono stata ragazzina anche io. A chi copiavi queste poesie?» e le mostrò i fogli azzurri del mese di ottobre di un diario di scuola. Sui fogli ben piegati c’erano i versi di Prevert, ognuno con una poesia che terminava con in un angolo scritto piccolo piccolo Lulù, con la u che si arricciolava in un cuoricino.
«Chi è lui? Dimmelo, se no parlerai in questura».
E Lucrezia sussurrò “Diego” e poi chiese, implorò: «Dov’è?»
«Diego chi?»
«E che ne so. È Diego; gli ho copiato le poesie perché mi ama  e lo amo e così mi può conoscere, visto che mamma non mi fa mai uscire».
La poliziotta andò via con quel nome prezioso, ma in commissariato dissero che a Napoli ci sono un esercito di Diego o Diego Armando. E l’ispettore aggiunse che c’è pure uno che ha tre nomi Diego, Armando, Maradona; di cognome fa Esposito, naturalmente.
Sì, ma perché le bustine di coca erano avvolte nei fogli con le poesie d’amore?
E perché erano a casa della signora Iride?
La nebbia cominciò a diradarsi poche ore dopo, quando trovarono il corpo crivellato di proiettili di Diego Degli Esposti, 17enne malavitoso. 
Il ragazzo, alto e bello, viveva con una prostituta trentenne che, ben torchiata dai poliziotti, rivelò una storia squallida, sudicia: Diego, uno spacciatore, per il salto di qualità aveva detto al suo boss di avere un posto sicuro dove tenere la coca man mano che arrivava. Aveva aggiunto di avere una frenzola che gli stava appiccicata notte e giorno e che era la sua assicurazione con la polizia: la figlia di Delrè.
Con la stessa motivazione e con una piccola cifra aveva convinto la signora Iride a tenergli la roba, visto che lui si portava a letto la ragazzina del secondo piano che era connivente con la polizia.
Lucrezia era figlia di un ispettore ucciso in servizio. Fu cura dei poliziotti lasciar fuori il tenero primo delicato amore della figlia dell’amato e rimpianto ispettore Delrè da quella squallida storia di degrado. Bisognò tuttavia dare spiegazioni alla signora Eva che minacciava sfracelli. Ci pensò la poliziotta che raccontò alla rigida vedova dell’ispettore cosa dice Jacques Prevert a tutti, e a un’adolescente sognatrice in particolare.

23 aprile 2022 – © riproduzione riservata

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